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di Marco Paolo Dellabiancia

 

1) Fondamenti socioculturali e indirizzi di politica scolastica

Se è vero, com’è vero, che nelle società tecnologiche postindustriali dei paesi sviluppati si è progressivamente espanso il settore produttivo dei servizi fino a superare per numero di addetti di gran lunga gli altri settori tradizionali, cioè quello agricolo e quello industriale, è facile cogliere come in questo terzo settore un’area che si evidenzia per importanza sia sicuramente quella dei servizi alla persona (educazione, sanità, tempo libero, arte e cultura, alimentazione, sessualità, arredamento, moda ecc.). In quest’area dunque assume una forte rilevanza la "cultura del corpo" come riferimento generale che indirizza, dirige e controlla non solo i processi organizzativi e produttivi dell’offerta di ciascun specifico servizio, ma anche, nella società eterodiretta dei "mass media", le rappresentazioni collettive che presiedono alla determinazione dei bisogni degli utenti.

Da questo punto di vista S. Spinsanti può scrivere "Una porta a due battenti si apre sul modo di vivere che contraddistingue la seconda metà del sec. xx: il primo battente è lo sviluppo della tecnologia, il secondo il ritorno al corpo. Il corpo trionfa nelle arti e nel costume. L’Occidente dell’epoca industriale avanzata, perse le tradizionali fedi religiose e laiche, defluiti gli entusiasmi ideologici, sembra aver trovato un’unità ecumenica nel culto del corpo. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti. La cura del corpo non appartiene più solo ai privilegiati: la pressione esercitata dai mezzi di comunicazione di massa l’ha fatta straripare anche negli altri ceti sociali. Cosmetici e diete, jogging e club ginnici, maratone e sports non competitivi: la nostra civilizzazione offre l’immagine di un felice ripiegamento sul corpo alla ricerca della perfetta "forma" fisica. ... Se il fenomeno è sotto gli occhi di tutti, la sua interpretazione è tutt’altro che univoca. La nostra civilizzazione si è veramente "riappropriata del corpo"?" (cfr. bib n. 1).

Questo è l’interrogativo fondamentale, da cui si dovranno trarre le debite conclusioni sul piano dell’istruzione pubblica, se si vuole agire in base a principi pedagogici e non semplicemente per suggestioni o convenienze occasionali. Perché è del tutto evidente che le diverse organizzazioni e le differenti iniziative che caratterizzano un tale settore, seppur nate a vario titolo e con obiettivi i più diversi (e talvolta contemporaneamente presenti in modo più o meno dichiarato), dall’impresa economica e commerciale all’organizzazione del consenso politico o all’offerta di servizi col "non profit", tutte generalmente si dispongono alla gestione delle attività istituzionali (motorie, artistiche, culturali e sportive) assecondando un comune orientamento manipolatorio consumistico, più che un indirizzo di valorizzazione della presa di coscienza e di sviluppo della consapevolezza (tutte, ma con alcune evidenti e conosciute eccezioni che, tuttavia, come dice il proverbio "confermano la regola" generale).

A dire il vero l’analisi critica, secondo le più differenziate posizioni ideologiche, ha già posto in evidenza le soluzioni obbligate di un tale atteggiamento consumistico sia nella direzione del reinvestimento produttivo e mercificato del corpo "liberato o sublimato" (cfr. bib. n. 2), sia nella direzione della "fuga terapeutica" o mistica (cfr. bib. n. 3); e intanto il corpo, pur volendo anche tacere delle mode giovanili dell’abbigliamento, del tatuaggio e del "piercing", perché si commentano da sé, continua comunque e sempre più ad essere la sede manifesta del disagio e dei problemi dei nostri giovani sia nella malattia mentale (anoressia e bulimia), sia nella devianza (droga e prostituzione), che nel suicidio (secondo la progressione accelerata preoccupantemente evidenziata dagli ultimi rapporti).

L’istituzione scolastica italiana sta affrontando una tale dimensione di problematicità in due modi: da un lato con finanziamenti specifici, nell’ambito della lotta alla Dispersione scolastica (indirizzando i fondi perequativi nei territori dove le problematiche sono più urgenti); dall’altro per tutti, invece, senza mezzi finanziari diretti ma con gli strumenti gestionali offerti dalle iniziative di Apertura della scuola ai giovani (regolamentate col Dpr 567/96) seppure nella prospettiva dell’Autonomia scolastica, cioè in definitiva rimandando alle medesime agenzie esterne (sia quelle generali come il Coni del progetto "Sport a scuola" o l’Ente teatrale italiano della Direttiva 147/96, sia quelle più direttamente emanazioni politiche, giacché di solito ogni partito ha poi la propria organizzazione culturale e del tempo libero) di cui si diceva più sopra: enti che hanno finalità proprie da perseguire e una tale dimensione finalistica portano inevitabilmente anche nel loro progetto educativo locale. Ciò sta accadendo per la verità soprattutto in questi ultimi anni, dopo che in altri momenti con i finanziamenti previsti dalla legge per l’Educazione alla salute la scuola aveva posto in essere in prima persona dei progetti interni trasversali e realmente rapportati alle dimensioni curricolari e d’istituto (la progettualità della prima metà degli anni ’90).

Si è marcato, dunque, il cambiamento politico, con abbattimento delle caratterizzazioni più educative di quell’insegnamento che fin dal 1859 si occupa proprio di tali finalità formative, esplicitandolo ancor più definitivamente nella progressione che va dalla Direttiva 331/97 alle iniziative attuative del nuovo protocollo d’intesa Coni - Ministero (Ccmm 466/97, 668/97, 44/98 e 63/98), premessa - come si sta chiaramente manifestando - per offrire all’ente Coni l’intervento diretto

fin nella dimensione curricolare di questo insegnamento (stando alla totale assenza di indicazioni per questa disciplina nel documento dei Saggi e alla preoccupante impostazione dualistica nell’ottocentesco concetto ivi affermato di linguaggi della mente da un lato e di linguaggi del corpo dall’altro)

nella formazione in servizio dei docenti della scuola primaria e secondaria (in attesa di definire anche la situazione dei docenti di Educazione fisica nella scuola secondaria con la riorganizzazione dei curricoli e la ridistribuzione delle discipline nel riordino dei cicli), ora che,

anche con il riordino della formazione universitaria nei nuovi Isef, si potrà modificare totalmente l’impostazione complessiva dell’insegnamento (è infatti l’unico tra tutti gli insegnamenti per il quale non sussistono determinazioni contenutistiche nell’ordinamento degli studi e ciascuna Università potrà così regolarsi a proprio piacimento e convenienza).

Partendo dai pregressi modelli Positivista (mente sana in corpo sano) e Idealista (si educa il corpo educandone il carattere morale cioè la volontà) rispettivamente del secondo Ottocento e del primo Novecento, infatti, il pensiero pedagogico italiano nel secondo dopoguerra aveva raccolto la suggestione del modello Personalista per l’Educazione del corpo (cfr. bib. n. 4), facendone un elemento educativo irrinunciabile dell’area comune in tutti i percorsi scolastici primari e secondari, sviluppandolo con l’approfondimento soltanto complementare (opzionale) della valenza sportiva. E comunque definendo in modo preciso le condizioni educative di tale valenza. E così si è affermato una volta per sempre che "L’impegno di miglioramento del risultato discende solo dalla logica della ricerca e della verifica del movimento più corretto e preciso; in questo senso lo sport scolastico tende alla disciplina interiore, alla padronanza del corpo, alla formazione e all’affinamento di condotte motorie personali. ... L’agonismo, inteso come impegno a dare il meglio di se stessi ... comporta l’acquisizione da parte degli alunni di una coscienza critica nei confronti di comportamenti estranei alla vera essenza dello sport, come la ricerca del risultato ad ogni costo, o l’assunzione di atteggiamenti divistici" (dal programma di Educazione fisica nella scuola media dal Dm. 9/2/79).

Questa scelta pedagogica non aveva voluto negare il valore formativo dello sport (facendone comunque uno dei diversi contenuti dell’educazione fisica), ma aveva colto tutta la problematicità di una Educazione (soprattutto nel senso del diritto allo studio e all’istruzione) dipendente da fattori manipolatori consumistici, giacché tutti ormai conoscono le possibilità che esprimono in questa direzione i mezzi di comunicazione di massa e l’élite irresponsabile (secondo il sociologo Alberoni) ivi rappresentata. Perciò aveva privilegiato una intelaiatura formativa (l’Educazione fisica) che salvaguardasse soprattutto le dimensioni dell’orientamento personale e dell’autorientamento in senso idealistico, avviando così un nuovo filone umanista (cfr. bib. n.5), seppur tra le gravi difficoltà determinate da un confronto impari con lo sport (quello spettacolare professionistico) da un lato e da una formazione universitaria (gli Isef) sempre precaria dall’altra, in una parola dall’incuria istituzionale, effetto diretto di potenti interessi che si sono affrontati sull’argomento fin dai primi anni ’70, quando cioè l’elaborazione culturale della disciplina stava rompendo gli schemi pregressi aprendosi a nuove istanze e prospettive filosofiche e scientifiche, tutte speranze poi miseramente cadute nelle beghe delle contese fra persone e enti per accaparrarsi le risorse lecite (e illecite, come taluni inquietanti fenomeni, accaduti in ambienti e situazioni connessi con la disciplina, lo sport e gli Isef, stanno a significare).

2) Fondamenti psicopedagogici delle valenze costitutive dell’identità

Certamente le potenzialità formativo/orientative della disciplina sono formidabili e ancora non si comprende come da parte dell’Amministrazione non si sia definitivamente connesso e intrecciato il percorso dell’Educazione fisica con quello dell’Educazione alla salute, rivedendo il ruolo professionale del suo docente nell’ambito delle figure quadro o delle nuove attività connesse all’insegnamento. Giacché la materia è l’unica del piano di studi a coniugare unitariamente la pratica delle tecniche di uso del corpo con la conoscenza di norme e principi scientifici e l’assunzione dei conseguenti atteggiamenti valoriali. Le altre materie, infatti, si arrestano ad una soltanto delle tre determinazioni dell’atto educativo summenzionato (l’ed. scientifica alla conoscenza, l’ed. morale ai valori, l’ed. pratica e operativa alle tecniche del corpo). Tutto ciò può accadere perché la corporeità è sede di processi che dalla sensorialità progressivamente possono indurre la consapevolezza.

Dal percepire al conoscere e all'aver coscienza del corpo proprio si attuano altrettanti passaggi ad ordini diversi di consapevolezza: la percezione, per far riferimento a quanto la scienza ci dice sulla funzione motoria, corrisponde all'interpretazione del segnale che giunge nell'area cerebrale somatognosica primaria e viene elaborata nelle secondarie. In questi territori corticali si realizza, infatti, la localizzazione del sito corporeo interessato dalla stimolazione, la percezione della sua disposizione (sia come posizione assunta, che come tensione espressa e come movimento avviato) ed il riconoscimento delle qualità dello stimolo. Per far ciò, rimanendo agli aspetti legati alla percezione del corpo proprio e tralasciando tutto ciò che concerne la percezione della realtà e la sua organizzazione, è necessario possedere un modello d'insieme del proprio corpo che permetta l'orientamento reciproco dei percetti, un "centro d'orientamento": lo schema corporeo, dotazione anatomicamente definita dalle aree corticali somatognosiche destra e sinistra, ma che per diventare funzionante in modo utile ed integrato ha bisogno di una fase di sviluppo ed apprendimento nel corso dei primi anni di vita, come il fenomeno dell'arto fantasma descritto da Merleau-Ponty ha ampiamente dimostrato (cfr. bib. n. 6).

Questa dimensione percettiva e la dualità dei campi di sensibilità cui dà luogo (il corpo e il mondo o il soggetto e l'oggetto) è stata sempre presente all'analisi della Filosofia spiritualista (Maine de Biran col "senso dello sforzo", Rosmini col "sentimento fondamentale o sensus sui" e G. Gentile che riprende "l'Obiectum mentis" spinoziano) e alla problematica della Fenomenologia con il "Leib" di Husserl, che l'hanno valorizzata come il primo passo verso la coscienza (cfr. bib. n. 7). Anche il Pensiero esistenzialista ha valorizzato la percezione corporea: del corpo in quanto fondamento de "l’essere per sé" di Sartre (cfr. bib. 8); in questo senso tale percetto è interpretato come substrato del "vissuto", cioè di una coscienza che raccoglie sia ciò che si è percepito nella propria realtà, che ciò che si fantastica reale, e dunque in questa seconda direzione, invece di essere il punto di forza della presa di coscienza di sé, può invece rappresentare il puro prodotto della propria immaginazione (come nella malattia mentale)

La conoscenza del corpo, invece, partendo dal trattamento linguistico-concettuale dei percetti, astrae sempre più, sia dalla senso-percezione attuale e immanente del corpo proprio che dalla percezione visiva e tattile dei corpo altrui, i caratteri fondamentali di un concetto assoluto e generale che va poi ad applicare come nozione di riferimento ai diversi campi della conoscenza, non senza averla ulteriormente definita nei termini appropriati alla dimensione culturale che si intende esercitare. E' solo per effetto dell'astrazione dal corpo proprio che si giunge ad una nozione di corpo in generale e questa poi si può ulteriormente elaborare applicandole le varie reti di conoscenze dichiarativi di ciascun campo epistemologico. Questa nozione costituisce ciò che Husserl chiama "Korper" e Sartre "l'essere del corpo in sé" con un senso di svalutazione nel confronto di quell'altro corpo, quello di cui si è detto prima, percepito e vissuto, per effetto di un atteggiamento di critica alla certezza della conoscenza scientifica che ha caratterizzato la cultura esistenzialista europea nella prima metà del nostro secolo.

Solo con Popper il concetto del corpo, cioè lo strumento della conoscenza del corpo, viene rivalutato in tutt’altro clima culturale e in tutt’altra forma critica della conoscenza scientifica. Nel suo scritto "L’Io e il suo cervello", il concetto del corpo (cfr. bib. n.7), infatti, si colloca nel terzo mondo, quello dei prodotti della mente umana; un terzo mondo capace di causalità sugli altri due, e in particolare sul secondo, quello delle esperienze personali dei fatti naturali che qui potremmo intendere come il mondo del vissuto determinato dalla percezione corporea, rovesciando l'impostazione marxista, per cui la causalità va dalla struttura alla sovrastruttura con l’ammissione, dunque che la causalità (concettuale) possa andare dalla sovrastruttura alla stuttura. Il concetto del corpo acquista in questo modo una grande importanza, sia nell'agire scientificamente fondato del medico o del docente, che nell'agire quotidiano dell'uomo comune e tutto ciò appare di particolare importanza applicativa proprio in sede educativa.

Rimane, da ultimo, la coscienza del corpo, come esito di un lungo processo di personificazione iniziato con la percezione del proprio corpo e di quello altrui e con la progressiva costruzione di una immagine del corpo proprio dal contenuto fortemente caratterizzato in senso emotivo e affettivo. Questa terza dimensione è stata, infatti, descritta da Sartre come il risultato di un "essere per sé del corpo come riconosciuto dall'altro", cioè come l'effetto del rispecchiamento di sé negli altri (cfr. bib. n. 8), riprendendo così la funzione svolta dal corpo nei confronti dello spirito soggettivo già a suo tempo espressa da Hegel, con la differenza decisiva che mentre nell'Idealismo la "transazione" avveniva all'interno dello spirito, con Sartre avviene nel corso della concreta relazione fondamentale con l'altro soggetto. In questo caso la dimensione relazionale, sia supportata dalle percezioni a distanza (e dei sistemi simbolico - culturali iconico e sonoro - musicale da esse prodotti) che da quelle corporee, appare di significato determinante a partire dall’educazione del corpo proprio (personale e di genere) per arrivare all’educazione al corpo in senso ampiamente socioculturale.

3) Fondamenti psicopedagogici delle valenze espressivo-comunicative

Discussa la valenza formativo/orientativa riferita allo sviluppo della consapevolezza del sé, centrale nella definizione dell’identità personale preadolescenziale e adolescenziale, così come due vecchi Autori, un Pedagogista e uno Psicologo, avevano già espresso molto efficacemente parecchi anni fa (cfr. bib. n. 9 e n. 10), bisogna anche dire che non è così concluso il discorso. In realtà su tale ceppo altre valenze si strutturano nell’insegnamento delle componenti espressivo-comunicative dell’Educazione fisica: componenti per certi versi sempre presenti anche all’impianto tradizionale della disciplina, ma rinvigorite di nuove certezze pedagogiche a partire dai programmi per la scuola media del ’79 e poi ampiamente presenti in tutti gli ordini e gradi scolastici nell’area dei linguaggi non verbali (cfr. Programmi della scuola elementare, Orientamenti della scuola dell’infanzia e Programmi Brocca).

Come principale linguaggio non verbale, tuttavia, l’orizzonte così come è rappresentato nella pubblicistica sull’argomento si restringe ad una collocazione strumentale alla comunicazione verbale, seppur con funzione metacomunicativa; perciò questa prospettiva, per continuare nella ricerca dei veri fondamenti epistemologici della disciplina in funzione orientativa, deve declinarsi assieme a quella che prenderemo in esame di seguito, cioè a quella di codice fondamentale nella ideazione (modellizzazione mentale) del reale.

Posto che per alcuni Autori, comunque, si può parlare di linguaggio, in termini appropriati e corretti, solo a proposito di quello verbale, ormai tuttavia anche nella cultura pedagogica si parla di linguaggio per tutti i sistemi di segni, talché ci si riferisce ad un linguaggio visivo (o visuale quando i segni sono culturali e non naturali) intendendo l'organizzazione dei fenomeni visivi come la visione binoculare, le illusioni ottiche, la prospettiva ecc. (o dei segnali visuali dell'opera d'arte come la linea, il colore, la luce, la composizione ecc.). Oppure si parla di un linguaggio sonoro come organizzazione dei segni uditivi naturali (rumori, silenzio ecc.) e culturali (suoni, pause, ritmi ecc.).

In tal senso dunque sussiste anche un linguaggio del movimento (genericamente inteso) come organizzazione di segni gestuali o motori o corporei (cfr. bib. n. 11). Ma in questo ambito possiamo trovare diversi sistemi espressivo - comunicativi:

a) quello che fa riferimento all'espressione spontanea dell'emozione e dell'affettività (che d'ora in poi chiameremo linguaggio del corpo. Si tratta di un sistema in gran parte inconscio (è precisamente il linguaggio corporeo dell'inconscio) che consiste in un complesso di regolazioni riflesse e automatiche del tono muscolare, dell'atteggiamento posturale, della mimica facciale e gesticolatoria, della distanza personale e dell'uso dello spazio circostante e così via. In realtà, da linguaggio principale che è nel neonato (cfr. bib. n. 12), diventa o un PARALINGUAGGIO e cioè un linguaggio che affianca quello verbale per arricchire la comunicazione nella vita quotidiana, venendo progressivamente anche sottoposto ad un apprendimento di tipo culturale (cfr. la Cinesica di bib. n. 13); oppure FUNZIONE SIMBOLICA che si esprime sia nell'imitazione spontanea e nel gioco simbolico del bambino (cfr. bib. n. 14), sia anche nel sintomo psicosomatico o nel rituale psicomotorio della malattia mentale e della difficoltà relazionale: come inconscio che gioca tanto il bambino normale che l'adulto malato, nevrotico o psicotico (cfr. bib. n. 15 e n. 16). Da questa matrice originaria, mai eludibile del tutto, con lo sviluppo si differenziano almeno altre due forme motorie del linguaggio; si tratta di:

b) quella che fa riferimento all'organizzazione prassica (motoria) dello spazio, del tempo, dello schema corporeo, che si può considerare il materiale primario e contemporaneamente anche lo strumento fondamentale di sviluppo delle operazioni mentali infralogiche piagetiane e che consiste nel gesto utile, finalizzato, produttivo, adattato; un gesto al cui sviluppo concorrono sia la maturazione dei sistemi organici (struttura) che l'apprendimento delle abilità motorie (funzione). Dallo schema sensomotorio del bambino (cfr. bib. n. 17) questo linguaggio, che chiameremo d'ora innanzi linguaggio motorio, dà luogo sia al gesto funzionale del gioco motorio fino al gesto atletico e sportivo, sia alla motricità abile del lavoro manuale e della produttività creativa dell'arte plastica e costruttiva;

c) quella, infine, che fa riferimento ad una gestualità comunicativa intenzionale secondo un sistema di regole culturalmente determinate e perciò condivise anche se per lo più artificiali (che chiameremo d'ora in poi linguaggio gestuale), e che consiste nel linguaggio dei gesti di fine utilitaristico (come il linguaggio dei sordi e altri sistemi di comunicazione non verbale affini), oppure di fine artistico ed estetico come l'animazione, la drammatizzazione, il ballo e la danza, ed anche tutti quegli sport dove l'efficacia del gesto non consiste tanto (o soltanto) nella prestazione atletica, quanto piuttosto, anche se applicata ad un ambito agonistico, nell'interpretazione di un canone estetico-gestuale (pattinaggio artistico, nuoto sincronizzato, ginnastica ritmica moderna ecc.). Questo linguaggio ha un'origine espressiva da quello spontaneo (e inconsciamente intenzionale) che abbiamo chiamato linguaggio del corpo, poi però progressivamente si culturalizza divenendo intenzionale anche nella dimensione della consapevolezza e perciò diviene suscettibile di evoluzione solo se trattato da un linguaggio verbale in funzione metacognitiva (quando cioè un linguaggio parla di un altro linguaggio).

Le caratteristiche che distinguono in modo peculiare il linguaggio del movimento genericamente inteso da quello verbale sono varie; ma quelle più importanti comunque sono almeno due:

a) se il linguaggio è un sistema di segni condivisi, è necessario chiarire bene di quali segni si serve. Il segno è un significante che si usa al posto del significato per indicare il referente reale (ad esempio la parola l'albero", o il disegno di un albero, o lo schema sensomotorio dell'arrampicarsi, o il suono dello stormire di fronde, o l'odore caratteristico di un albero sono tutti elementi che possono rappresentare il concetto di "albero", e cioè sono significanti del medesimo significato, che si possono usare per comunicare ad altri la propria intenzione di riferirsi ad un albero vero o immaginario, cfr. bib. n. 18). La prima osservazione spontanea che si può fare è che facilmente mentre nella comunicazione la parola, l’immagine, il suono, l’odore ecc. prodotti dall’emittente inducono direttamente nel destinatario il significato, non ugualmente l’emittente può produrre lo schema sensomotorio nel ricevente, ma per realizzarlo deve fare leva su uno degli altri codici o muovere direttamente col proprio il corpo del compagno.

Tutto ciò è probabilmente la base per un lungo futuro discorso, tuttavia ora, mettendo da parte il problema della costruzione del significato e appuntando l'attenzione sul significante, si può dire come prima osservazione che i segni sono di 3 differenti tipi:

1) SEGNALI e INDICI, rispettivamente quando sono: a) sia una parte del significato (come i segni del I sistema di segnalazione di Pavlov, ovvero, nell'esempio soprariportato, quelli che sono indicati con i percetti sonoro e olfattivo); b) sia quando sono intrinsecamente legati al significato (come l'ombra all'albero o il fumo al fuoco);

2) SIMBOLI, quando il segno, pur non essendo intrinsecamente legato al significato, gli è collegato tramite l'analogia, cioè quel rapporto che caratterizza anche il legame espressione-significato nelle forme chiamate dal linguista "retoriche o parlar figurato" (come la metafora e la metonimia) appartenenti al linguaggio verbale fonetico, e che sussistono anche nel linguaggio verbale scritto non fonetico (per ideogrammi) e nei linguaggi non verbali (come nella lingua dei segni dei non udenti).

3) SEGNI, quando si tratta di significanti del tutto arbitrari, ma condivisi, come le parole non onomatopeiche.

Per tutto ciò che si è detto, sì può concludere che i segni utilizzati dal linguaggio del corpo sono del primo tipo finché si rimane nella sfera della naturalità organica, ma diventano del secondo, e cioè simboli che rimandano ad altro, dopo l'interpretazione (del medico, del genitore, del docente ecc.); i segni utilizzati dal linguaggio motorio sono del primo tipo (precisamente indici che si formano nell'azione: i percetti degli gli schemi motori) e tali rimangono, anzi si può dire che in essi il significante (il percetto dello schema motorio) è il significato (l'azione motoria) se si rimane ad una naturalità dell’agire, anche se fin dall’esordio della storia dell’uomo, la funzionalità dei movimenti del lavoro, della vita quotidiana, della produzione artistica ha ricevuto nuova potenza nel rinvenimento di una scala di significati (e di valori). A tale proposito basta citare il Rito e il Mito come strumenti fondamentali dell’educazione tradizionale che reinterpretano l’azione (in questo caso emblematica) al fine di creare le condizioni per una acculturazione condivisa (sacra, religiosa, civile ecc.) della società.. Nel linguaggio gestuale i segni utilizzati sono del secondo tipo (simboli) e tendono a divenire del terzo (cfr. bib. 19).

b) La seconda differenza sostanziale tra linguaggio del movimento genericamente inteso e linguaggio verbale è quella osservata da L. Calabrese: i linguisti postulano un complesso di regole che denominano Grammatica Generativa Trasformazionale (o LAD per Chomsky) che giustifica la capacità del parlante di costruire un complesso infinito di enunciati a partire da poche norme di base, o, meglio ancora, di passare dal piano del contenuto (struttura profonda) a quello dell'espressione (struttura superficiale). Tale grammatica fa parte del patrimonio ereditario caratteristico della specie umana, mentre quello che si deve comunque apprendere è il repertorio degli elementi, i vocaboli nel senso comune o, nei termini linguistici, i monemi (fonemi, lessemi e morfemi).

Orbene, nel linguaggio del movimento genericamente inteso ciò che viene ereditato è il repertorio degli elementi (i riflessi neonatali da cui si sviluppano tutti gli schemi motori e posturali sia per maturazione che per apprendimento), mentre ciò che viene appreso è la coordinazione, cioè la regolazione volontaria della gestualità (cfr. bib. 20) e lo sviluppo/apprendimento di questa sintassi è compito dell’insegnamento di Educazione fisica fin a partire dai primi elementi della relazione corporea del bambino con la madre

4) Fondamenti psicopedagogici delle valenze ideative e pratto-gnosiche.

Una delle aree espressivo-comunicative, già individuata come linguaggio del movimento, può essere intesa più propriamente come LINGUAGGIO INTERNO, ciò vale a dire nella concezione vygotskijana come PENSIERO. In questo ambito i segni sensomotori costituiscono precisamente il substrato delle operazioni mentali che il soggetto mette in atto per costruirsi modelli di spiegazione del mondo e per affrontare e risolvere problemi, cioè per costruire i significati della realtà; è la dimensione prattognosica che viene particolarmente utilizzata (in forma elementare, perché in forma avanzata può essere rivolta a qualunque livello di competenza) nell’alfabetizzazione di base della scuola materna e del I ciclo della scuola elementare per tutti gli alunni, perché pienamente rispondente ai livelli di sviluppo cognitivo secondo le indicazioni piagetiane; ma anche nei gradi superiori per l’integrazione degli alunni in situazione di handicap. Nella scuola italiana, infatti, si è realizzato un sistema interistituzionale di progettazione educativa che fa centro sul Profilo Dinamico Funzionale come descrizione dell’Area potenziale dello sviluppo individuale del soggetto handicappato. In corrispondenza di tale area potenziale si realizza l’intervento educativo, ma per far ciò si deve aver ben presente un impianto programmatorio generale che faccia riferimento allo sviluppo specifico dei sistemi di segni senso-percettivo-rappresentativo-motori qui coinvolti. E tale impianto programmatorio è precisamente quello definito nel quadro n. 1, dove si procede attraverso quattro fasi di maturazione: la prima è quella dell'ELABORAZIONE della PERCEZIONE; la seconda è quella dell'ORGANIZZAZIONE dei COMPLESSI PERCETTIVO-RAPPRESENTATIVI; la terza individua lo SVILUPPO delle OPERAZIONI LOGICHE, INFRALOGICHE e LINGUISTICHE; per ultima si coglie la dimensione della COSTRUZIONE dei SISTEMI SIMBOLICO-CULTURALI.

 

Quadro 1: TASSONOMIA GENERALE DEGLI OBIETTIVI DEL CAMPO DEL CORPO E DEL MOVIMENTO E DELL’EDUCAZIONE MOTORIA

 

1 Abilità sensomotorie

2 Abilità percettive e ideomotorie

3 Operazioni logiche, infralogiche e linguistiche

4 Prassie dei sistemi simbolici
1.1 Catena ortostatica ed equilibrio statico

1.2 Deambulazione, salto corsa ed equilibrio dinamico

1.3 Traslocazioni, trasporto e altre prassie

1.4 Prese e prima manualità

1.5 Dominanza manuale e manualità complessa

1.6 Manipolazione e prime gnosoprassie costruttive

2.1 Organizzione schema corporeo, gnosoprassie semplici e conosc. del corpo

2.2 Organizzione percezione e riconoscimento visivo

2.3 Organizzazione percezione, riconoscimento uditivo e facili gnosoprassie uditive

2.4 Percez. tattile e semplici gnosoprassie tattili negli spazi manipolativo e gestuale

2.5 Integrazione visivomotoria e gnosoprassie gestuali

2.6 Integrazione visivo-manipolativa, gnosoprassie costruttive e grafismo

2.7 Coordinazione oculomanuale e oculopodalica complesse

2.8 Integrazione sonoromotoria

2.9 Gnosoprassie complesse nello spazio deambulatorio.

3.1 Operaz. Infralogiche:
- orientamento e organizzazione spazio-temporale

- comprensione e organizzazione causa-effetto

3.2 Operazioni Logiche:

  • discriminare. accoppiare, classificare, ordinare e seriare, quantificare, geometrizzare
  • 3.3 Operazioni Espressivo-Comunicative coi linguaggi non verbali:

    - comprensione di messaggi gestuali e non verbali (anche mediati),

    - produzione di messaggi gestuali e non verbali (anche mediati da ombre, burattini ecc.)

    4.1 Prassie dei sistemi simbolici:

    - motorio-sportive

    - costruttivo-manipolative

    - iconico-visuali

    - sonoro-musicali

    - d’espressione, animazione e drammatico-teatrali

    4.2 Prassie della vita quotidiana:

    - autonomia personale

    - relazione e socializzaz.

    - di vita domestica

    - di vita scolastica

    - di vita lavorativa

     

    La prima fase definisce quell'operatività che permette di raccogliere selettivamente elementi appartenenti ai diversi regni sensoriali qui specificatamente analizzati e cioè agli schemi senso-motori (percezione cinestesica e propriocettiva), alle immagini visive e alle tracce uditive, sia separatamente che a regni integrati, per elaborare percetti dotati di significato, contesto e finalità. Si tratta di un passaggio molto significativo da una situazione subita (SENSIBILITà) ad una attivamente e intenzionalmente perseguita (PERCEZIONE) che viene generalmente rappresentata, nella dimensione d'indagine della Neuropsicologia (A. R. Lurija), con il passaggio dalle aree sensoriali corticali primarie di proiezione alle aree secondarie e terziarie di associazione, mentre per il linguaggio verbale può risultare assimilabile alla funzione di denominazione e alle prime e fondamentali concettualizzazioni ad essa connesse. Le operazioni più significative consistono, dunque, anche se a livelli esecutivi molto elementari nell'individuazione, riconoscimento e appaiamento degli stimoli percettivi, nell'analisi e nella sintesi, nella ricostruzione e schematizzazione, fino alla loro diversificazione (cfr. bib. n. 21).

    La seconda fase individua l'organizzazione progressiva dei percetti, prima elaborati in quadri separati e in forme non diacronicamente interconnesse, ora in complessi percettivi continui come lo SCHEMA CORPOREO o ricorrenti come lo "SCRIPT" (P. Boscolo), ovviamente attinenti prevalentemente all’area di segni qui studiati. In questa fase l'operatività mentale con memorizzazione e strutturazione di vissuti, con configurazione di insiemi di percetti, porta ad una continuità nella rappresentazione dinamica e nella simbolizzazione più o meno realistica di sé e del mondo. Ad esempio per i segni iconici si può fare riferimento agli stadi evolutivi postschematici dello scarabocchio (V. Lowenfeld) e per i segni sonoro-musicali agli stadi relativi alla percezione e simbolizzazione dei ritmi (M. Stambak). L'operatività rappresentativa caratteristica di questo segmento è già intrinsecamente legata alla mediazione verbale e al contesto socio-culturale.

    La terza fase coglie ormai un'operatività mentale così fortemente avviata sulla strada della simbolizzazione da essere capace di codificare non solo l'esperienza sensopercettiva, strutturandone i percetti, ma ormai persino immagini, schemi sensomotori e tracce sonore puramente mentali, cioè direttamente costruite dal soggetto senza bisogno dell'esperienza reale. Questi contenuti mentali sono sottoposti ad un complesso di operazioni (piagetiane) che possono attualizzarsi sia collocandoli nelle dimensioni continue infralogiche dello spazio-tempo e della causalità, sia, raffrontando le qualità dei percetti medesimi, nelle grandi categorie logico-matematiche piagetiane (classificazione, seriazione ecc.), sia, infine, attraverso lo sviluppo interconnesso del linguaggio verbale, costruendo i significati (L. S. Vygotskij) per la struttura profonda di pensiero su cui si viene definendo, mediante le incipienti competenze lessicale e morfosintattica, testuale e pragmatica, la struttura superficiale dell'enunciato (secondo il modello generativo-trasformazionale chomskyano).

    La quarta fase è quella che, mettendo un po' in disparte lo specifico logico-matematico e quello logico-linguistico, che pur tuttavia permangono sullo sfondo dell'operatività, giaccché non è possibile prescindere da essi nella globalità del lavoro scolastico, si dedica però più decisamente ai sistemi simbolico-culturali dei gesti, delle immagini e dei suoni come raggruppamenti significativi di contenuti, tecniche, abilità, atteggiamenti fruitivi e operativi (cfr. bib. n. 22) da utilizzare nella didattica: sono i sistemi-esperto di padronanza del gesto sportivo, del ballo, della danza e del mimo, oppure delle molte arti visive, dei mass media e della produzione artigianale, oppure della musica e del canto. Una miniera inesauribile di valori e significati, di azioni e strategie, di materiali e tecnologie, da cui desumere gran parte degli strumenti dell'intervento orientativo per l’alunno di scuola media.

    Sulla base di questa sintetica tassonomia generale delle abilità motorie è stata ricavata una scala di sviluppo (descritta integralmente nell'articolo sull'Educazione Motoria) che può rappresentare lo strumento di una verifica standardizzata per l’area motoria; in tal senso e in modo particolareggiato nella prima sezione riporta le abilità prerequisito per la scuola dell’infanzia; nella seconda sezione le abilità obiettivo della scuola dell’infanzia e prerequisito per la scuola elementare; nella terza fase le abilità obiettivo per la scuola elementare e prerequisito per la scuola secondaria; nella quarta fase (solo con gli indicatori generali per comprenderne lo sviluppo complessivo, ma senza descrizione analitica dei descrittori componenti perché troppo diversificati e numerosi tra i diversi sistemi di prassie afferenti ai vari saperi) le abilità obiettivo per la scuola secondaria.

    Per tutto quest’ulteriore settore che completa il curricolo continuo dell'Educazione motoria, fisica e sportiva dalla scuola dell'infanzia alla scuola secondaria di II grado e, comunque, a chi volesse disporre di un primo strumento in funzione di scala di sviluppo delle abilità motorie si consigliano le tassonomie di Bruno Mantovani in "Educazione Fisica anni ‘90" i cui livelli inferiori possono benissimo completare la scala qui indicata nell’ambito più prettamente funzionale della III sezione (che così com’è risulta proprio carente nella dimensione motorio-prassica, perché volutamente si è lasciata così carente, considerato che sussistevano già in letteratura gli estremi del suo completamento). Da qui poi partono ulteriori valenze formativo/orientative come quelle che afferiscono all'ampio settore DELL'ORIENTAMENTO SPORTIVO, ma anche per queste valenze si rinvia alla copiosa letteratura

    Biblio ed emerografia di riferimento

    S. Spinsanti, Il corpo nella cultura contemporanea, Queriniana Brescia 1983, a pag. 5

    Ci si riferisce agli scritti di L. Cattanei, L. Volpicelli, B. De Marchi, G. Giugni, P. Andreoli, C. Bucciarelli, L Minerva, P. Angelini

    Ci si riferisce agli scritti di W. Pasini, S. Spinsanti, F. Giovanardi Toni, R. Martinelli, D. Cargnello, M. Cannao e G. Moretti

    G. Giugni, L'educazione fisica e la personalità nell'età evolutiva, IEM Napoli 1963; Presupposti teoretici dell'educazione fisica, Sei Torino 1973; Il corpo e il movimento nel processo educativo della persona, Sei Torino 1986; L'educazione fisica nei programmi d'insegnamento della scuola italiana, in "Annali della P. I." n. 2 del Marzo/Aprile 1992. A. Fabi, Educazione fisico-motoria nel fanciullo: aspetti pedagogici, in Corsi di qualificazione in ed. fisica per insegnanti elementari, Scuola dello sport Roma 1980.

    M. P. Dellabiancia, Sperimentazione, teoria e pratica nell’esperienza del BUS di Mestre; L’Educazione del corpo nella scuola dell’adolescente; Programmi e programmazione dell’Educazione fisica nella scuola; Fondamenti di metodologia e didattica generale con riferimento all’Educazione fisica, in "Educazione fisica e sport nella scuola", rispett. n. 134/77, 159/81, 250-251/96 e 256/97

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    M. P. Dellabiancia, Il corpo nel pensiero filosofico e pedagogico, in "Didattica del movimento", SSS Roma n. 75 luglio-agosto 1991

    J.P. Sartre, L'essere e il nulla, Il Saggiatore Milano 1965

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    M. P. Dellabiancia, Materiali per l'integrazione. Una tassonomia dei linguaggi non verbali in "Scuola e didattica" n. 13 del 15/3/96 e La valutazione dell'alunno in situazione di handicap nella scuola secondaria di II grado, in "Scuola Handicap" n. 2 dell'annata 1995

    Bologna, 1998

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