L’Orientamento nella scuola
Isp. Marco Paolo Dellabiancia
Indice
- Premessa
- Origini dell’Orientamento nella società e nella scuola italiana
- La via "Formativa" all’Orientamento scolastico
- L’Orientamento nella scuola dell’Autonomia e dei Nuovi Cicli
- Necessità dell’intervento integrato nella scuola
- Differenze tra l’approccio psicosociale e quello formativo all’Orientamento
- Proposte
- Note
1) Premessa
Dalla lettura del Documento ministeriale sugli indirizzi per l’attuazione dei curricoli che accompagna lo schema di Decreto concernente il Regolamento recante norme in materia di curricoli della scuola di base datato a febbraio 2001, documento che, verosimilmente, diverrà nelle sue linee fondamentali (essendo già state espresse ampie variazioni nelle proposte del CNPI) l’imprescindibile riferimento per la costruzione delle offerte formative delle nuove scuole (sia di livello primario che di livello secondario, giacché nella sua prima parte "Il senso della riforma" è rivolto, per esplicita indicazione del Ministro, a tutte le scuole), si coglie una certa teorizzazione sull’Orientamento, nei capoversi 9^ e 10^ del I Paragrafo "Scuola secondo Costituzione" che appare lieve ed anche banalmente scontata.
Quando il lettore approfondisce, però, scopre un’ampia riduzione dell’orizzonte di significato di tale funzione, proposta sotto l’ottica dello strumento della scelta in due momenti di passaggio , quelli dei 15 e dei 18 anni, e allora si accorge che addirittura ne hanno dimenticato uno di grande importanza come il passaggio dei 13 anni dalla scuola di base a quella secondaria. Fatto grave, perché a suo tempo già definitivamente sancito dal IV comma dell’articolo 3 della Legge quadro sul Riordino dei cicli scolastici. Tale passaggio viene ad assumere, infatti, come vedremo nuovi significati.
Ma soprattutto in questo modo si mette in ombra tutto il senso della funzione orientativa come fondamento per la costruzione dell’identità personale che, invece, è proposta dalla Direttiva sull’Orientamento (n. 487 del 6/8/97) come parte integrante dei curricoli di studio fin dalla scuola dell’infanzia.
Come sempre, con l’impegno di portare un piccolo contributo al miglioramento dell’azione istituzionale, perciò, si propone una riflessione, riprendendo le ragioni e i significati che, si sarebbe voluto, fossero stati definitivamente accolti, anche con la memoria di tre documenti di riferimento trascritti in nota, per venire ad alcune considerazioni conclusive di proposta.
- Origini dell’Orientamento nella società e nella scuola italiana
Nella società "tradizionale" per gran parte della popolazione maschile l’assunzione di un lavoro e di una funzione economica nella società avviene semplicemente proseguendo le orme paterne; parimenti per le giovani il modello è quello materno, anche se il ruolo economico femminile si gioca prevalentemente all’interno della famiglia e della casa. In tali situazioni esiste tutto un processo di identificazione e di socializzazione al ruolo che, tuttavia, non si può certamente caratterizzare come Orientamento, quanto piuttosto come Educazione e Formazione familiare nell’ambito dell’Acculturazione primaria.
Soltanto con la società "industriale" si aprono progressivamente le prime forme di mobilità sociale legate alle opportunità di un mercato del lavoro in fase di espansione per l’affermazione di nuove funzioni lavorative. Questa disponibilità, ancora rara nelle fasi iniziali, è divenuta sempre più ampia ed evidente per il parallelo fenomeno dell’obsolescenza di molti lavori tradizionali, fino a caratterizzare ampiamente le società industriali avanzate.
La scuola italiana, caratterizzata da una struttura "canalizzata" fin dalla legge Casati (1859), aveva da principio risolto il problema orientativo nel solco della tradizione, favorendo la scelta precoce (al termine delle scuole elementari) sulla base delle determinazioni socioculturali familiari, salvo prendere coscienza delle nuove necessità orientative quando il modello scolastico venne modificato (mediante l’unificazione nella Scuola Media Unica dei vari corsi secondari di I grado col Latino che erano stati intanto moltiplicati dalla Riforma Gentile (1923) e dai suoi successivi assestamenti) per una prima "comprensività" risalente alla riforma di Bottai (L. 899/1940).
Questa che avrebbe voluto rappresentare un sostanziale cambiamento del modello scolastico, ma fu realizzata solo in minima parte per l’incipienza dell’evento bellico, spostava la scelta (anche se soltanto per i pochi che allora perseguivano l’istruzione superiore) dalla conclusione della scuola elementare al passaggio tra i due gradi della scuola secondaria. In tale occasione si risolse il problema dell’orientamento scolastico, coniando il concetto "in nuce" di Orientamento formativo, mediante una nuova configurazione della valutazione dell’alunno, già allora, per giudizi analitici e sintetici (Nota n.1). Tuttavia la scelta della maggior parte della popolazione (che non poteva aspirare all’istruzione superiore) restava al termine della scuola elementare tra l’andare a lavorare (nonostante l’obbligo scolastico fino a 14 anni), l’iscriversi ad una scuola professionale (non dipendente dal ministero dell’Educazione Nazionale) o il seguire la scuola di Avviamento Professionale.
Nel secondo dopoguerra il dibattito culturale ha cominciato a porsi il problema dell’Orientamento scolastico (distinto per competenza da quello professionale) solo alla fine degli anni ’50, quando divenne progressivamente opinione comune che un intervento in tal senso non era limitativo delle prerogative dell’Istituzione scolastica (allora ancora erede, come ogni altro servizio statale, di una supremazia sulla società civile, espressione di una concezione "forte" dello Stato caratteristica del regime fascista), in una situazione dove, tuttavia, i meccanismi scolastici fondamentali non erano stati modificati dalla Costituzione, né dai primi governi della Repubblica (in particolare i Ministeri Gonnella).
3) La via "Formativa" all’Orientamento scolastico
Un primo fondamentale cambiamento sopraggiunse, però, con l’istituzione della scuola Media (assorbente tutte le diverse scuole postelementari), realizzata dai primi governi del Centro-Sinistra (L. 1859/62), cui venne definitivamente affidata la funzione orientativa scolastica secondo la concezione "formativa". Questa concezione valorizza l’apporto offerto dall’insegnamento della singola materia o di varie materie (quando si occupano unitariamente di un medesimo argomento secondo la metodologia dell’Interdisciplinarità) nel provocare, stimolare, indurre apprendimenti che determinano sempre maggior consapevolezza di sé e conoscenza della realtà circostante nel soggetto, reso attivo protagonista della sua formazione da un intervento didattico partecipato.
La concezione formativa aveva caratterizzato fin da principio l’impostazione orientativa della scuola media (si vedano sia i programmi del ’63 che le interpretazioni psicopedagogiche di G. Catalfamo, L. Ancona e G. Giugni in AA. VV. "La nuova scuola media" Corso televisivo per gli insegnanti, Eri, Torino 1963). Ma appena enunciata, fu subito smentita dall’affermazione che dell’orientamento dovevano meglio occuparsene non le scuole ma i Centri di orientamento (Convegno nazionale UCIIM di La Mendola del 1962), non tutti gli insegnanti, ma il Consigliere d’orientamento, mutuando nelle iniziative di competenza delle scuole le caratteristiche degli interventi prevalenti nell’ambito dell’Orientamento professionale (di competenza delle Regioni e degli Enti Locali). Tutto ciò anche perché da quegli anni funzionavano i "Centri di Orientamento professionale e di consulenza scolastica" che avevano impostato il loro lavoro, come naturalmente accade fuori dal processo educativo e didattico, secondo l’approccio psico-attitudinale (per una rassegna delle diverse concezioni dell’Orientamento si consulti la Nota n. 2).
Ben strana questa vicenda dell’Uciim che, mentre sicuramente raccoglie l’eredità delle scuole professionali dei Salesiani con un impegno più che quarantennale e tutti i maggiori esperti di orientamento (basta consultare l’intervento di Sergio Cicatelli nel sito della BDP per "La cura del sé professionale" delle FO del corrente anno), non è stata capace almeno in questi ultimi anni di incidere nella scuola media almeno un poco, per far funzionare questo settore così importante per la riuscita di tale scuola!
Sempre questa prospettiva dell’orientamento formativo fu, in seguito, vigorosamente ripresa da F. De Bartolomeis in "Valutazione e orientamento" Loescher, Torino 1974, seppur nell’ambito di una forte disputa ideologica che non le giovò certamente, e poi dagli ultimi programmi d’insegnamento e dai criteri d’esame di licenza della scuola media. Più di recente, poi, nelle "Proposte della Commissione Brocca" (Commissione che negli anni ’90 ha prefigurato una Riforma complessiva della scuola secondaria di II grado), si afferma che: "...Le finalità generali dell’orientamento nella secondaria superiore sono sinteticamente riconducibili alle seguenti: la maturazione dell’identità personale e sociale e della capacità decisionale, la chiarificazione e la pianificazione del futuro professionale alla luce di un personale progetto di vita..."; i mezzi ordinati a tal fine sono due:
- le discipline scolastiche che da un lato permettono l’espressione di attitudini, capacità e stili, e dall’altro consolidano conoscenze, abilità e mappe concettuali che sono le medesime richieste dal mondo del lavoro, realizzando una mediazione culturale che, mentre sostiene la motivazione all’apprendimento, permette il consolidamento o il cambiamento (riorientamento) della scelta.
- I l tipo di relazioni instaurate tra i soggetti che condividono l’esperienza, giacché accanto alle componenti cognitive assumono un’importanza paritaria quelle emotivo - affettivo - valoriali, per cui "...Da questo punto di vista sono da favorire tutte le forme efficaci di coinvolgimento diretto degli studenti nella programmazione, nella conduzione e nella valutazione delle attività didattiche, nonché in un processo che favorisca anche l’autovalutazione..." (da "Piani di studio della scuola secondaria superiore" 1991 e 1992).
Nonostante queste indicazioni oltremodo chiare ed esaurienti, si dovette attendere ancora, prima di vedere definitivamente affermata la concezione formativa, a causa del protrarsi di tutte le confusioni possibili con gli interventi specifici di sostegno alla scelta scolastica e/o formativa e/o del lavoro che cadeva nei momenti di passaggio alla fine dell’obbligo, al completamento del ciclo secondario e al completamento di un ciclo formativo (come si sta puntualmente verificando ancora una volta coi nuovi cicli della scuola di base).
- L’Orientamento nella scuola dell’Autonomia e dei Nuovi Cicli
Negli anni ’90, tuttavia, si è andata definendo una riforma generale del sistema scolastico, nel complesso di una riforma generale dello Stato italiano, che ha ripreso i termini della questione fin dai fondamenti. In questa direzione vanno unitariamente alcune determinazioni e progettazioni come il Progetto Orme per la scuola materna ed elementare (Cm. 182/99), il Progetto di Orientamento per la scuola media (Cm. 358/98), il Programma Flavio Gioia in uscita dalla scuola secondaria di II grado (Nota prot. 666/C4 del 21/11/98), fino all’ultimo Progetto Peer Guidance per il controllo del processo orientativo all’entrata nell’Università (Dm. 28/10/99), unificati in un’unica visione definita ampiamente con le Direttive sull’Orientamento scolastico (Dir. 487/97) e sull’Orientamento universitario (Nota Min. Un. prot. 123 del 6/8/97).
All’asse educativo dell’Orientamento, infatti, nel disegno generale della nuova scuola dell’autonomia (oggi incipiente per la vigenza del Dpr. 275/99 e del Dm. 234/2000 in attuazione dell’articolo 21 della L. 59/97, anche se in attesa di compimento definitivo), sono stati assegnati compiti molto importanti per l’abbattimento delle varie forme di Dispersione scolastica seppur in armonica collaborazione con altre funzioni ugualmente decisive (come l’Accoglienza, le diverse espressioni della Continuità educativa e didattica, l’Educazione alla Salute, il Sostegno e il Recupero/Sviluppo degli apprendimenti, la Cittadinanza degli studenti e il loro Statuto, le Attività integrative e complementari, l’Integrazione di soggetti in situazione di handicap, stranieri, nomadi, adulti ecc.).
Tutto ciò è stato, poi, esaltato da altri importanti provvedimenti legislativi, come la delega agli Enti Locali della maggior parte delle funzioni summenzionate (Dl.vo 112/98), e successivamente l’Elevamento dell’Obbligo Scolastico a 15 anni (L. 9/99 e Dm. 323/99) e di quello Formativo a 18 anni (L. 144/99 e Dpr. 257/2000), senza dimenticare da ultimo il nuovo sistema scolastico prefigurato dalla Legge Quadro di riordino dei Cicli scolastici (L. 30/2000). A proposito di quest’ultima, al momento attuale ci troviamo a disporre di alcuni documenti della Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione.
Se si prende in considerazione la relazione del Gruppo di lavoro n. 2, ad esempio, si trovano esplicitate al punto 3 tutte le caratterizzazioni che assegnano un posto di tutto rispetto all’Orientamento per realizzare una centralità della persona che apprende nella scuola dell’autonomia e dei nuovi cicli (Nota n. 3). Tali indicazioni, però, come ho già detto in premessa, stentano a entrare davvero in forma organica nelle proposte sui curricoli della nuova scuola di base, anche per l’assenza di obiettivi formativi specifici; per l’Orientamento, infatti, si dovrebbe intendere almeno necessario quanto si indica come compito delle scuole in ordine alla "Formazione alla Cittadinanza" con i tre punti al termine del 3^ Paragrafo. Ma tutto ciò non è detto in alcun modo.
Ed invece tali indicazioni andavano date, anche perché con la nuova architettura del sistema scolastico il processo orientativo alla conclusione della scuola di base è sostanzialmente cambiato . Cade, infatti, quella valenza della stratificazione sociale di origine familiare che purtroppo influenzava la base della scelta di accesso ad uno dei quattro percorsi fortemente differenziati che si prospettavano nel pregresso sistema: intendo quello dei Licei per l’Istruzione superiore delle Professioni, quello dei Tecnici per Quadri intermedi, quello dei Professionali per Tecnici con ampia autonomia e infine quello della Formazione Professionale per Tecnici esecutivi.
Il nuovo procedimento orientativo nella scuola di base risulta, invece, prevalentemente giocato sulle attitudini personali (se la scuola è capace di mettere in campo le intelligenze plurime, le competenze emotive e trasversali, i linguaggi ecc.) nel contesto di una più ampia capacità di comprensione di sé, delle proprie motivazioni, dei propri interessi, della cultura che si vuole fare propria (da sviluppare realisticamente anche per confronto con gli altri componenti dei gruppi di riferimento, perciò non solo di livello) e di controllo dei propri processi di studio, di ricerca e di applicazione al compito (conosciuti perché praticati certamente nelle attività elettive, ma anche nelle attività ricorsive).
E non basta, perché se i corsi musicali sperimentali, ora divenuti definitivamente di ordinamento, ci stanno ad insegnare qualcosa, per l’educazione musicale, sicuramente per essa ma probabilmente anche per l’educazione all’immagine e all’arte visiva bisognerà costruire dei percorsi orientativi interni alla scuola di base, per poter sviluppare quelle caratterizzazioni specifiche, ora non più rinunciabili, della formazione il più avanzata possibile in tali ambiti da realizzare con interventi adeguati negli ultimi segmenti della scuola del ciclo primario. Ma i docenti dovranno inventarsi tutto? O è legittimo che possano avere il conforto di indicazioni puntuali (dei vari centri di ricerca) in queste direzioni orientative che appaiono connotate da freschezza e novità.
Tutto questo, dunque, attende di essere esplicitato (come attende di essere riutilizzato il Progetto di Orientamento Formativo nella scuola media in quanto strumento il più completo possibile per le finalità generali già indicate). Altrimenti, se dovesse cadere la valenza formativa di cui si può fare carico solo la scuola, cadrebbe sicuramente anche tutto il resto (l’orientamento scolastico e professionale) che, invece, vi vuole costruire in modo condiviso tra istituzioni diverse.
5) Necessità di intervento integrato nella scuola
Comunque venga definito il percorso scolastico dell’Orientamento nella nuova scuola, infatti, e in ogni caso, per effetto del Dl.vo 112/98 i due rami di tale funzione che emergono particolarmente al momento della scelta, quello scolastico e quello professionale, per la prima volta, vengono unificati sotto la competenza degli Enti Locali cui anche, con la normativa sul NOF, sono assegnati importanti compiti nell’intero settore, sia nella Formazione professionale che nell’Apprendistato e nei nuovi Servizi all’Impiego.
Ciò può voler significare che la scuola dell’autonomia, in realtà è dipendente dal suo Ente Locale di riferimento territoriale per la compiutezza del processo orientativo, che prima, nel suo ramo scolastico, era assegnato alla competenza della scuola medesima (e dell’Organo Collegiale Distrettuale, ora cassato dalla riforma, per il territorio).
In realtà questo rilevante cambiamento va acquisito in modo positivo, nel senso che nella nuova scuola l’Orientamento dovrà rispettare due riferimenti e due collocazioni di competenza differenziate, quello scolastico-professionale negli Enti Locali e quello formativo nella scuola medesima. Perciò ci si attende con ragionevole previsione che le scuole si facciano promotrici di progettazioni integrate con tali Enti nelle tre fasi di passaggio già nominate e, se ciò fosse carente, che gli EE. LL. a loro volta si facciano promotori di proposte costruttive (e con disponibilità di fondi) a sostegno delle istituzioni scolastiche del proprio territorio.
E tutto ciò diviene necessario perché è pur altrettanto riconosciuto che le competenze da sviluppare al momento della scelta sono del tutto dipendenti da quelle già sedimentate con l’Orientamento formativo dall’Istruzione. In altre parole la qualità del processo orientativo scolastico e professionale può risultare del tutto differente se già predisposta da quello formativo all’interno della scuola.
Già in questi ultimi anni, almeno nel territorio regionale dell’Emilia e Romagna, ma probabilmente anche in altre regioni, si è assistito ad un ampio scambio collaborativo e progettuale tra scuola ed Enti Provincia, attraverso i Centri di Formazione professionale riconosciuti, in particolare per l’attuazione di NOS e NOF. In tal modo, infatti, questa Regione ha potuto impegnare per le sue scuole la rilevante risorsa costituita da alcuni progetti sociali dell’Unione Europea.
Certamente a taluno è anche apparso fin troppo aggressiva l’azione di supporto alla scuola, che forse per la ristrettezza dei tempi operativi ha assunto talvolta la forma dell’offerta del tutto predeterminata e a scatola chiusa nell’ottica del "prendere o lasciare" e senza alcuna reale partecipazione progettuale dell’istruzione (in altre parole senza costituire un supporto alla miglior qualificazione del personale scolastico, ma alla sua totale espropriazione). Tuttavia già nel secondo anno ciò è accaduto in forma residuale, perciò la prospettiva è che si vada ad un reale incontro tra pari, giacché la forma surrogatoria e di sostituzione di una istituzione nei confronti dell’altra a lungo andare non è proficua per alcuno.
Gli esiti di questa collaborazione, almeno per i due anni scolastici pregressi (sempre restando a NOS e NOF che, comunque, hanno costituito anche l’occasione per rivedere l’Orientamento in uscita dalla scuola media e altre funzioni della nuova scuola), hanno permesso di realizzare in collaborazione tra istituzioni quanto segue. Nell’anno 1999/2000:
- informazione e formazione per il NOS in tutte le scuole secondarie;
- attuazione delle azioni di Accoglienza, Diagnosi, Riorientamento per tutti gli iscritti in prima classe di scuola secondaria di II grado;
- realizzazione del Passaggio tra indirizzi o tra scuole per alcuni alunni;
- attuazione di Iniziative sperimentali in integrazione tra scuola e Formazione professionale generalmente per chi si era iscritto inizialmente alla Formazione;
- attuazione di iniziative integrate per alunni in situazione di handicap.
Nell’anno 2000/2001:
- le medesime azioni già indicate per l’anno precedente, più
- informazione e orientamento per il NOF in tutte le scuole secondarie;
- comunicazione agli Uffici per l’impiego al momento dell’Iscrizione 2001/2002;
e altre ancora dovranno sopravvenire prima della fine dell’anno scolastico.
6) Differenze tra l’approccio psicosociale e quello formativo all’Orientamento
In tali forme di collaborazione, tuttavia, emergono chiaramente due diversi approcci all’Orientamento, che riassumono un po’ tutta la storia travagliata di questo processo: si tratta dell’approccio psicosociale da un lato, a carico ovviamente (nella interpretazione dello scrivente) di chi è responsabile dell’Orientamento scolastico e professionale nei momenti di passaggio (gli Enti Locali, come abbiamo già visto), e di quello formativo, dall’altro lato, a carico della scuola.
Anche se entrambi i due approcci devono poi marciare pienamente d’accordo nelle progettazioni integrate, che come abbiamo già considerato sono essenziali alla società per realizzare nella giusta maniera questa importante funzione di avvio al mondo del lavoro, e proprio in tale ottica va colto il senso di questo intervento.
In ogni caso è abbastanza evidente che le due ottiche divergono in alcuni significativi elementi. La prima divergenza si esplica nella destinazione dell’intervento: infatti, prevalentemente, l’ottica psicosociale è rivolta ai soggetti che non hanno chiaro ancora il disegno della propria destinazione, o per difficoltà nel progetto di vita, o per la poca evidenza delle motivazioni e degli interessi, o per ancora la scarsa maturazione dell’identità personale, o per oggettive difficoltà di integrazione (si pensi ai soggetti in situazione di handicap, ai nomadi, agli stranieri, agli adulti da rescolarizzare ecc.). L’approccio formativo è invece rivolto a tutti gli alunni nel momento in cui sono ancora alunni e, perciò, proprio quando stanno operando per dare un significato al proprio percorso educativo e culturale con la costruzione del proprio orizzonte di valore e senso.
Da ciò discende che il primo approccio si esplica, sempre prevalentemente, anche se non esclusivamente, come consulenza orientativa e all’interno di un intervento di relazione d’aiuto. Mentre il secondo si determina come esperienza didattica di insegnamento e ricerca scolastica (tendenzialmente inter o pluridisciplinare nella scuola secondaria e comunque, anche nel caso della scuola di base non ancora disciplinare, trasversale alle attività curricolari d’insegnamento) e mediante la gestione di gruppi operativi e di discussione. Ciò significa che nel primo caso si deve predisporre una situazione (setting) specifica (come i CIC o gli sportelli d’aiuto ormai frequenti nella scuola secondaria, ma tendenzialmente sconosciuti nella scuola di base), ovvero si tratta di andare ad attingere ad un servizio di consulenza fuori dalla scuola; mentre nel secondo caso la situazione formativa è costituita dall’aula o dal laboratorio e dalla classe di tutti i giorni.
Così volendo proseguire, poi, si possono sviluppare tutte le diverse dinamiche dei due approcci, ma per quanto riguarda il primo è meglio che, se si vuole approfondire la tematica, si legga di M. Consolini e M. L. Pombeni, La consulenza orientativa, Franco Angeli Milano 1999. Per il secondo, invece, è necessario ricordare che le attività di orientamento vanno realizzate certamente solo dopo aver sviluppato una necessaria competenza relazionale e di "rispecchiamento " nella classe (C. Scurati, Non direttività, La Scuola Brescia 1976) e aver maturato sempre nella classe o nel gruppo le necessarie competenze alla libera discussione (M. Mazzone et Alii, I gruppi nella scuola che cambia, Ed. del Noce Villa del Conte 1990).
Queste, poi, sono solo le basi "tecniche" dell’Orientamento formativo. Ma accanto a queste sussistono anche tutte quelle conseguenti scelte metodologiche (dallo sviluppo dei processi trasversali di apprendimento come il metodo di studio, l’autonomia nell’apprendimento, l’apprendimento cooperativo, il tutoraggio della "Peer Education" ecc. alle dimensioni più decisamente metacognitive come i potenziali individuali di apprendimento, la valutazione formativa, le "Life Skills" ecc.) che hanno portato la funzione orientativa ad assumere un ruolo fondamentale anche nella lotta alla dispersione scolastica ed al disagio scolastico degli allievi preadolescenti e adolescenti.
- Proposte
Si propone, quindi, un intervento che recepisca nei nuovi curricoli della scuola di base quanto detto, con un esplicito e approfondito intervento per l’Orientamento Formativo nel corso del settennio e per quello Scolastico nel biennio in uscita da tale scuola in attesa di avere chiare indicazioni per i corsi musicali e artistico-visuali. Ovviamente ancor più tale raccomandazione si fa per i curricoli della scuola secondaria che sono ancora in gestazione. Comunque, sia che ciò che si sta proponendo sia recepito, sia che non lo sia, una particolare attenzione deve essere riposta nella formazione del personale dirigente e docente di tutte le scuole, a partire da quello degli IC.
Per sostenere le azioni orientative delle scuole, infine, non sembra improprio realizzare un supporto tecnico-scientifico anche mediante Centri territoriali dedicati a tale funzione e sparsi nella regione, competenti per tutte le funzioni connesse all’Orientamento già ricordate e in grado di costruire e sviluppare documentazioni e raccolte di materiali e casi pratici.
8) Note:
Nota n. 1. Dalla L. 899/40. Istituzione della scuola media.
(omissis)
Art. 16. La valutazione e la classificazione degli alunni si effettuano mediante un giudizio complessivo e motivato:I^ sulle capacità generali e sul profitto in ciascuna disciplina;
2^ sull'energia e continuità del volere;
3^ sulla disposizione a proseguire gli studi;
4^ sulle qualità morali dimostrate, anche in rapporto alle attività svolte nelle organizzazioni giovanili.Tale giudizio, formulato alla fine di ciascun trimestre dal professore di lettere, riassume i giudizi parziali espressi per iscritto dai singoli insegnanti.
Art. 17. Al termine delle lezioni rispettivamente del primo e del secondo anno scolastico, il consiglio di classe, sotto la guida del preside, presa visione dei giudizi trimestrali complessivi di cui all'art. 16, li discute e li definisce in un giudizio finale. Da tale giudizio il consiglio stesso desume la classificazione degli alunni nelle seguenti categorie: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente, affatto insufficiente.
La promozione di classe in classe sarà concessa, senza esami, agli alunni appartenenti alle tre prime categorie, previo esito favorevole degli esami, da sostenersi nella sola sessione autunnale, a quelli della quarta.
Gli alunni della quinta categoria saranno dichiarati senz'altro respinti e potranno ripetere la classe una sola volta e nell’anno scolastico successivo.Art. 18. Al termine del primo, del secondo e del terzo anno scolastico, dopo la formulazione del giudizio finale, il consiglio di classe sotto la guida del preside, traccia un profilo della personalità di ciascun alunno, che mira ad accertarne il grado e i modi del processo di maturità.
Il consiglio di classe, all'inizio del secondo e del terzo anno scolastico, prende visione di questi profili, al fine di orientare la propria opera educativa.Art. 19. Alla fine del corso, il consiglio di classe, sotto la presidenza del preside, formula un giudizio di maturità, e classifica gli alunni secondo quanto stabilisce l'art. 17.
Gli alunni dichiarati, nel giudizio di maturità, ottimi o buoni sono dispensati dall'esame di licenza e da quello di ammissione alle scuole dell'ordine superiore e al liceo artistico.
Gli alunni che il giudizio di maturità abbia dichiarati affatto insufficienti sono respinti e potranno ripetere la classe soltanto nell'anno scolastico successivo.
Gli alunni che il giudizio di maturità abbia dichiarati sufficienti sostengono, nella sessione estiva, con eventuale riparazione a ottobre, un esame che è insieme di licenza e di ammissione alle scuole dell'ordine superiore e al liceo artistico.
Gli alunni che il giudizio di maturità abbia dichiarati insufficienti sostengono tale esame nella sola sessione autunnale.
I risultati nelle prove d'italiano e di latino decidono dell'ammissione al liceo classico e all'istituto magistrale; quelli d'italiano e matematica, dell'ammissione al liceo scientifico e ai vari tipi di istituti tecnici; quelli d'italiano e disegno, dell'ammissione al liceo artistico.Art. 20. Ogni alunno dovrà essere munito di un libretto personale, a modello dei quale verrà stabilito con decreto dei ministro per l'educazione nazionale, di concerto con il comandante generale della GIL
(omissis)
Nota n. 2 “L’Orientamento: Ieri, Oggi, Domani”
dal PROGETTO ORIENTAMENTO FORMATIVO NELLA SCUOLA MEDIA
ex Dm. 31/10/96
LE CONCEZIONI DELL'ORIENTAMENTO
Nelle società agricolo-artigianali, il problema dell'orientamento non assumeva alcuna importanza e rilevanza, in quanto era diffusa la convinzione che il compito della formazione e dell'integrazione dei giovani nel mondo economico e sociale doveva essere affrontato e risolto direttamente dalla famiglia di appartenenza: "Nelle società tradizionali - si legge nel Rapporto Kerr, nota 1- il futuro della maggior parte dei giovani era tracciato da sentieri ben definiti: il figlio sulle orme dei padre e la figlia destinata ad essere moglie e madre. La scelta era conosciuta".
Nelle società tecnico-industriali, il problema dell'orientamento assume una notevole importanza e rilevanza, in quanto si riconosce che la famiglia non può più affrontarlo e risolverlo direttamente, essendo i percorsi formativi e lavorativi diventati sempre più articolati e complessi e, di conseguenza, estranei alle normali competenze dei suoi membri anziani e autorevoli: inoltre, essendosi i rapporti intrafamiliari notevolmente ridotti in estensione e in profondità, viene resa difficile ai genitori una adeguata conoscenza delle stesse caratteristiche personali dei loro discendenti.
Storicamente, il problema dell'orientamento dei giovani nella scelta dei mestiere o della professione da svolgere o da esercitare da adulti nella società si poneva per la prima volta soltanto nei primi decenni dei nostro secolo, quando in diversi paesi europei si diffondeva la cosiddetta “rivoluzione industriale”, la quale provocava una profonda modificazione e trasformazione delle loro strutture economiche e sociali, che da semplici e statiche divenivano complesse e dinamiche, per cui i giovani si venivano sempre più a trovare nelle condizioni di aver bisogno di essere guidati per inserirsi in esse consapevolmente e responsabilmente.
E’ in questo nuovo contesto che, con i contributi di studio e di ricerca della psicologia sociale e della psicologia applicata, costituitesi in scienze agli inizi dei secolo, si perveniva alla elaborazione della prima teoria sull'orientamento, che veniva denominata “psico-attitudinale”: il presupposto sul quale essa si fondava era che in ogni individuo esistono delle capacità come disposizioni naturali che lo rendono più adatto a certe professioni piuttosto che ad altre, per cui la correttezza di una scelta dipende esclusivamente dalla corrispondenza tra le attitudini possedute da un individuo e le esigenze specifiche richieste da una determinata professione.
Il principio che ispirava una tale concezione dell'orientamento era quello dell'adattamento puro e semplice dell'individuo alle richieste dei mondo dei lavoro e della produzione, per cui la stessa scuola veniva intesa secondo un'accezione “aziendalistica” e considerata per così dire “l'anticamera dell'industria", in quanto ad essa si chiedeva soltanto di "produrre" i tipi di maestranze, di diplomati e di laureati richiesti dal mercato in un determinato periodo storico. Per ottenere l'attuazione di una tale concezione dell'orientamento, si richiedeva semplicemente che sul piano pratico-operativo si provvedesse alla predisposizione sul territorio di un apposito servizio di orientamento, distaccato dalla scuola, al quale potessero accedere i giovani, per sottoporsi alla somministrazione di test o prove standardizzate, capaci di far emergere e misurare le loro attitudini fisiche, fisiologiche e psichiche, nell'intento di promuoverne l'utilizzazione in un determinato campo formativo o lavorativo.
In tale quadro, nasceva e assumeva una posizione dominante la figura del “Consigliere d’orientamento”, che di norma era uno psicologo esperto in psicometria, il quale si impegnava nel fondamentale compito di selezionare gli individui più adatti alla esecuzione di determinati mestieri, nella prospettiva di mettere "l'uomo adatto al posto adatto", ma non quello di consigliarli in modo adeguato per superare i problemi personali che inevitabilmente si presentano nei momenti decisionali della vita socio-professionale, per cui “non li aiutava a decidere, ma decideva”. Ad un esame critico della concezione psico-attitudinale dell'orientamento, risultava non revocabile in dubbio che essa era funzionale agli interessi delle aziende, ma non certamente ai bisogni dei giovani che si trovano in quella delicata fase di passaggio dalla formazione scolastica alla condizione occupazionale-lavorativa: una valutazione delle sole attitudini fisiche, fisiologiche e psichiche, non accompagnata dalla comprensione dei problemi psicologici, emotivi, personali e sociali, non può non risultare che decisamente insufficiente e inadeguata, in quanto trascura elementi della personalità che sono essenziali all'orientamento.
Con l'evoluzione degli studi della psicologia sociale e della psicologia applicata, veniva criticata e respinta la teoria psico-attitudinale e si perveniva alla elaborazione di una nuova teoria, che veniva denominata “caratterologico-emozionale”: il presupposto su cui quest'ultima si fondava era che non le attitudini, ma le caratteristiche che contraddistinguono un profilo caratteriale devono essere considerate “centrali” nell'orientamento, in quanto l'osservazione quotidiana rivela che gli uomini si comportano diversamente di fronte ai compiti della vita proprio per una differente fisionomia caratteriale: pertanto, la correttezza di una scelta dipende esclusivamente dalla corrispondenza tra tipi caratterologici e famiglie professionali. La semplice esperienza personale di ciascuno di noi rivela ed evidenze che le attitudini sono importanti per l'orientamento, considerato che senza di esse non si possono seguire con un completo successo determinati percorsi formativi e professionali, ma al tempo stesso rivela ed evidenze che esse possono restare nascoste e sepolte se non intervengono gli interessi a scoprirle e a valorizzarle: "L'educatore - scrive il Gemelli - deve porre al primo piano nella sua valutazione dei giovane gli interessi, eventualmente anche nel loro parziale contrasto con le attitudini, perché le insufficienze attitudinali e la mancanza o deficienza di volontà possono essere compensate da un interesse dominante". Nota n. 2.
Intanto, la teoria “caratterologico-emozionale”, pur avendo giustamente criticato e respinto la concezione “psico-attitudinale” per il suo porsi su un piano di esclusivismo, volendo spiegare l'attività umana mediante la ricerca delle sole attitudini, cadeva anch'essa in una posizione di “esclusivismo”, tentando ad ogni costo una corrispondenza tra tipi caratterologici e famiglie professionali: pur riconoscendo l'esistenza di relazioni tra la struttura della personalità e gli interventi professionali, numerose ricerche hanno dimostrato che manca uno stretto rapporto tra le indicazioni tipologiche e l'orientamento professionale.
Comunque, non si può non rilevare che tale teoria apriva una nuova dimensione nella concezione dell'orientamento, rivalutando la persona, anche se soltanto nei suoi aspetti caratteriali e affettivi: in tale direzione ci si muoveva successivamente, pervenendo alla elaborazione di una nuova interessante teoria, che veniva denominata “clinico-dinamica”, che si fondava sul presupposto che non le attitudini, non gli interessi, non i tratti caratteriali devono essere considerati singolarmente “centrali” nell'orientamento, bensì le motivazioni, le aspirazioni, le inclinazioni, per cui è necessario ricercare in una professione gli elementi dinamici che siano capaci di soddisfare le esigenze profonde dei soggetto da orientare.
Intanto, la valorizzazione al massimo degli elementi profondi della personalità, non esclusi quelli inconsci, facevano trascurare ad alcuni teorici di questa concezione dell'orientamento la considerazione che il lavoro non può essere compreso soltanto come un diritto individuale, ma deve essere sentito anche come un dovere sociale, per cui deve essere messo in stretto rapporto con gli interessi della società: in conclusione, l’azione orientativa deve considera non solo l’uomo nella sua globalità, ma anche il contesto economico, sociale e culturale in cui opera la sua scelta. Il principale contributo che la teoria “clinico-dinamica” dava all'evoluzione e all'estensione dei concetto di orientamento consisteva nel superamento definitivo del tecnicismo, del meccanicismo e dello strumentalismo che avevano caratterizzato le teorie “psico-attitudinale” e “caratterologico-emozionale” precedenti e che avevano impedito che l'alunno diventasse soggetto attivo e protagonista dei suo orientamento e della sua scelta, provocando la costituzione delle condizioni per la formulazione di una teoria moderna del- l'orientamento, che tenga conto di tutto il processo di maturazione del soggetto.
Infatti, negli ultimi decenni si è andata delineando e consolidando la teoria dell'orientamento denominata “pedagogico-formativa” che si fonda sul presupposto che al centro dell'orientamento deve essere posta l'intera personalità dei soggetto, con le sue attitudini, interessi, motivazioni, ecc., in quanto hanno tutti una influenza considerevole non soltanto sulla scelta scolastica e professionale che egli deve compiere, ma anche sulla scelta del progetto di vita che intende realizzare.
Se la scelta di un percorso di studio o di una professione deve inserirsi nel più ampio percorso di vita che si intende seguire, ne discende che l’orientamento deve configurarsi come un’azione continua che si inserisce in tutto il processo di maturazione della personalità del soggetto: in tale contesto, cade la stessa dicotomia orientamento scolastico - orientamento professionale e si impone soltanto il concetto di orientamento tout court, che si sovrappone e si identifica col concetto di formazione e che si sostanze nel condurre l'alunno a maturare e sviluppare armonicamente le capacità, le abilità, le competenze, ecc., che gli permettono di far fronte a circostanze impreviste, di riorganizzare schemi di pensiero in funzione di situazioni sempre nuove e in continua evoluzione.
Non si può non considerare che il progresso scientifico e tecnico sta provocando e determinando rapidi e profondi mutamenti nel quadro delle professioni, tanto che si assiste nel volgere di pochi anni alla scomparsa di alcune di esse o alla nascita ex-novo di altre, per cui l'individuo è costretto a rivedere e ad aggiornare continuamente le proprie conoscenze, competenze e abilità professionali: in un tale contesto, sarebbe illogico e assurdo insistere e persistere nell'intendere e praticare l'orientamento come ricerca di singoli fattori e confronto tra essi e i singoli profili professionali.
Nell'ottica dell'orientamento inteso nell'accezione “pedagogico-formativa”, la scuola deve necessariamente rinnovarsi se vuole veramente aiutare i giovani nelle scelte. In particolare, essa:
- non deve più considerare la scelta come un atto occasionale che viene compiuto ad un certo momento della vita del soggetto, ma come un processo continuo e complesso, che comincia con l'infanzia e che, attraverso l'adolescenza, si prolunga nell'età successiva;
- non deve accettare un modello di orientamento fondato esclusivamente sulla misurazione e valutazione delle attitudini, delle capacità o degli interessi posseduti o manifestati dal soggetto e sulla ricerca, in base ai risultati ottenuti, della professione verso la quale indirizzarne la scelta;
- deve respingere un modello di orientamento solo di carattere diagnostico, che non tiene sufficientemente conto né della storia personale dei soggetto né dell'evoluzione delle professioni.
In conclusione, oggi la scuola deve considerare l'orientamento come attività interna ad un processo formativo continuo, un processo personale e autonomo, che conduca l'individuo a porsi continuamente dei problemi di scelta, senza tuttavia mai scegliere definitivamente, ma progressivamente, così da acquistare quella capacità di orientarsi da solo di fronte alle mutevoli esigenze di natura professionale e sociale, cioè, in una parola, “all’autorientamento”. Nota n. 3.
Note
1) Rapporto Kerr, Educazione e lavoro nella società moderna (a cura dell’OCSE), Armando Roma 1976.
2) M. Reuchlin, L’intégration des juenes dans un monde en évolution technique et économique accélérée, AIOP Paris 1962.
3) L. Borghi, Educazione e scuola nell’Italia d’oggi, La Nuova Italia Firenze 1972.
Nota n. 3. Dalla relazione del gruppo di lavoro n. 2 – Coordinatore prof.ssa Enrica Rosanna – Moderatore isp. Alberto Cacco- della Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione. Roma 12/9/2000 su ”La centralità della persona che apprende”
(omissis)
3. L’orientamento
Nel quadro del rinnovamento della scuola vanno sottolineate, da una parte, la complessità e la crucialità delle tematiche relative all’orientamento, dall’altra, l’esigenza irrinunciabile di assumere un’ottica di sistema, riconducendo ad unitarietà ed organicità gli innumerevoli stimoli/informazioni/messaggi veicolati dai diversi agenti di orientamento (Enti locali, Formazione Professionale, Agenzie per il Lavoro, Università).
La quantità di stimoli, informazioni e messaggi veicolati è collegata, ovviamente, alla necessità per gli studenti e le studentesse, di selezionare ed organizzare i dati, finalizzandoli ad un percorso di orientamento e al progetto di vita personale.
Rilevante importanza assume, pertanto, all’interno della cornice generale dell'orientamento, la competenza selettiva che si configura come competenza trasversale che i soggetti acquisiscono nel processo di insegnamento/apprendimento, anche attraverso le discipline che in ciò confermano la loro valenza orientativa. Ne consegue il primato della Scuola e la sua specificità tra le diverse agenzie di orientamento. Tale primato e tale specificità sono giustificati dal nesso fra apprendimento (conoscenze, capacità, competenze, strategie) e percorso orientante, nonché dalla valenza sociale dell'apprendimento, quale processo educativo continuo in grado di valorizzare tutte le capacità di ogni singola persona e di rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo.
Si sottolinea, ancora, come l'orientamento possa essere considerato strategia formativa integrante nella nuova scuola, come scuola della uguaglianza e delle differenze.
Dell'orientamento vanno tenuti presenti diversi aspetti e alcune condizioni imprescindibili:
- il suo carattere interno al curricolo e le relazioni, di natura sia strutturale sia processuale, con lo stesso;
- il ruolo primario dell’insegnante nell’orientamento ma - data l'implicazione di aspetti psicologici e l'attenzione al futuro scolastico-professionale dei soggetti - anche la necessità che l'orientamento venga gestito in collaborazione con un'équipe di competenti;
- il protagonismo dell'allievo/allieva, perché attraverso l'orientamento mobiliti gradualmente le sue energie personali e diventi protagonista consapevole delle proprie scelte;
- le problematiche connesse all’anno terminale dell’obbligo e l’esigenza di una scuola “riordinata” che sappia coniugare tale terminalità con la prosecuzione del post-obbligo;
- la necessità di valorizzare - a livello di triennio - l'asse del lavoro e dell’esperienza. anche attraverso attività laboratoriali, alternanza scuola/lavoro, stage;
- il concetto fondamentale di ri-orientamento connesso al curricolo (flessibilità/unitarietà), all'apprendimento (ri-orientamento = nuovo apprendimento), alla centralità delle persone che apprendono, al rinnovamento della didattica,
- la connessione tra il passaggio dagli ambiti e le discipline e l'orientamento,
- le soluzioni didattiche e organizzative: adattamenti del curricolo, forme di accompagnamento, passerelle;
- il ruolo dell’orientamento “precoce” per l'area artistico-musicale;
- la stretta connessione fra orientamento e valutazione. Al riguardo va sottolineato che, in effetti, la valutazione è sempre orientante, in quanto nel riconoscere conoscenze e competenze al soggetto valutato, gli restituisce un profilo attitudinale/cognitivo. Ciò esige, però, che siano adottate forme di valutazione più adatte a orientare.
Va sottolineato infine che alla base di ogni intervento di orientamento si esige - oltre a quanto già indicato sul protagonismo degli allievi/allieve e sull’imprescindibile esigenza del lavoro di équipe - il rispetto di condizioni di efficacia operativa (definizione del piano di intervento, individualizzazione degli interventi, tempestività e continuità degli stessi, utilizzazione di tecniche e strumenti adeguati).