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Politiche scolastiche e del lavoro nelle ipotesi di riforma e il ruolo determinante dell’Orientamento nei percorsi di Obbligo Formativo attivati dalla Regione Emilia e Romagna

     Gennaio 2001                                                                                                di Marco Paolo Dellabiancia
 
 

Le politiche del lavoro e dell’educazione devono fare i conti con una competenza legislativa diffusa ai diversi livelli, per tale motivo sembra necessario recuperare l’integrazione tra sistemi, caratterizzante il percorso dell’Obbligo Formativo nella scuola secondaria. ‘E quanto si desume anche dall’esperienza delle iniziative realizzate in Emilia e Romagna.
 

1) Il sistema a tre titolarità delle politiche della scuola e del lavoro. La dimensione europea

Per una nazione come la nostra che è tra le fondatrici dell’Unione Europea e si trova in piena rielaborazione dello Stato per l’entrata in vigore, dopo l’apposito referendum popolare, di una legge di modifica costituzionale, la definizione delle norme di riforma delle politiche del lavoro e dell’educazione nasce ormai da tre fonti diverse che si devono comunque armonizzare, pur all’inevitabile succedersi delle coalizioni politiche vincitrici alle competizioni elettorali.

La prima titolarità è incorporata dalle indicazioni e dalle proposte dell’Unione Europea. Questa, infatti, seppur non risulta ancora una vera e propria fonte legislativa, tuttavia rappresenta un imprescindibile riferimento per le nazioni costituenti, offrendo l’occasione così per dimostrare tangibilmente di adempiere fino in fondo ad una sincera vocazione europeista, ma soprattutto per partecipare a talune opportunità che si offrono alle aree carenti di un livello "relativo" di sviluppo, cioè non uniforme al resto del territorio comunitario, ovvero carenti di un livello "assoluto" di sviluppo in relazione alla presenza di vere e proprie situazioni di sottosviluppo.

Sulla base di un sistema di elementi qualitativi e quantitativi (ad es. i parametri di Maastricht) relativi alle situazioni interne di ciascuno stato e delle determinazioni assunte dai governi nei documenti di programmazione economico-finanziaria, da tempo, infatti, la Comunità Europea ha delineato quegli scenari socio-economici (presentati in vari documenti come Rapporti e Agende) da tenere adeguatamente presente nella definizione degli obiettivi e delle azioni dei propri programmi di intervento. Le politiche che determinano, poi, tali programmi afferiscono, bilanciandosi di volta in volta, a due diverse concezioni che si stanno confrontando fin dalla nascita della Comunità:

In tal senso la prima appare del tutto favorevole ai processi di globalizzazione spontanea e totale, mentre la seconda, anch'essa favorevole a tali processi, tuttavia intende aiutarne l'evoluzione in modo controllato e con particolare riferimento alle opportunità per le condizioni di disagio, di emarginazione e di difficoltà sociale. Le politiche destinate all’intreccio dello sviluppo economico con quello sociale sono state individuate sia nel piano del 1993 (Libro bianco di Delors), che in quello del 1995 (documentate in "Iniziative locali di sviluppo ed occupazione"), nonché nella definizione dell’Obiettivo 4 del Fondo sociale del progetto ’97, dove viene individuato un quadro di sviluppo locale attento anche alla qualità della vita e alla tutela dell’ambiente. Tutto ciò, poi, si è vieppiù accentuato negli ultimi anni.

Così le cinque priorità inizialmente identificate nella Strategia politica del 2002, dopo l’azione di sostegno all’introduzione dell’Euro e prima che i fatti luttuosi dell’11 settembre 2001 facessero aggiungere quella della sicurezza a tutti i livelli, sono :

Alla luce di tutto questo, si può dire che lo sviluppo sostenibile stia diventando per l'Unione Europea una vera e propria priorità trasversale che coinvolge tutti gli obiettivi e le azioni. Lo sviluppo sostenibile, in altre parole, è ormai il livello relativo di riferimento per contribuire a consolidare la prosperità delle nazioni europee senza forzare e stravolgere la qualità della vita delle generazioni future.

2) Le dimensioni nazionale e regionale

Altre titolarità, per riprendere il discorso iniziale, ovviamente, appartengono rispettivamente alla dimensione nazionale e a quella regionale. Nella situazione che si aveva prima della legge costituzionale 3/2001, pur con una sicura preminenza nazionale, è stato comunque avviato un ampio processo di riforma. Negli anni del CentroSinistra, infatti, si era già registrato un crescente interesse per la costruzione di un nuovo sistema nazionale di integrazione e reciproco riconoscimento fra sistema educativo e mondo del lavoro. In tal senso sono numerosi i riferimenti che si riscontrano nei documenti e nella legislazione che detta le regole per il riordino del sistema della formazione e del lavoro in Italia:

Si tratta di un insieme di norme che vincola i diversi sistemi (dell’istruzione, della formazione e del lavoro) a un insieme di regole condivise, frutto dei diversi accordi (dal luglio 1993 al dicembre 1999) che segnano le tappe del dialogo sociale nel nostro paese, fondato sulla garanzia dell’accesso alle competenze lungo l’intero arco della vita.

Ma ora le cose sono cambiate. A questo proposito risulta davvero esemplificativo ricordare come la Legge costituzionale 3/2001 abbia modificato il precedente assetto, dichiarando che sono di legislazione esclusiva dello Stato tra le altre materie:

mentre sono di legislazione concorrente tra Stato (principi generali) e Regioni (legislazione ordinaria), tra le altre:

In definitiva, perciò, pare che nell’ambito di educazione e lavoro si sia determinato un regime a quattro ordinamenti:

con la determinazione di un’evidente situazione di frizione nell’area di competenza concorrente, tanto che non è improbabile che siano in arrivo nuove riforme proprio in questo settore, ad esempio con la " devolution " del Ministro per le Riforme. Il testo di un apposito decreto approvato dal Consiglio dei ministri al termine del 2001 prevede, infatti, che vengano riconosciute alle Regioni "competenze legislative esclusive sulle seguenti materie: … organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione" (cfr. nota n. 1).

Una tale formulazione, infatti, ha il pregio di consentire quella definizione "centrale" dei programmi scolastici e formativi di evidente interesse nazionale, prevista anche dalla legge costituzionale succitata, mentre dall’altra parte costruisce su solide basi un rapporto di complementarità tra Stato e Regioni, anch’esso già richiesto dalla materia di competenza concorrente, anche se però modifica chiaramente la definizione espressa dalla legge costituzionale di cui sopra. Sempre questa proposta, inoltre, potrebbe facilitare il sistema disegnato dal Ministro Moratti nel punto che vuole l'individuazione a livello nazionale anche della struttura generale del sistema regionale di formazione professionale.

3) Le riforme dell’educazione come premessa necessaria alle politiche del lavoro

A fronte di una situazione così articolata e complessa come quella che ormai presiede alla determinazione delle politiche, paradossalmente unitario, per non dire assolutamente unico, è il principio concettuale ovvero la concezione di riferimento cui tutti decisori politici ai diversi livelli fanno riferimento (e da cui possono, nemmeno a dirlo, far derivare, poi, anche interventi ed azioni più o meno diversi e perfino contrastanti tra loro).

Si tratta, infatti, di una concezione che è stata già enunciata inizialmente in due rapporti della Commissione Europea: il primo è " Insegnare ad apprendere, verso la società cognitiva ", edito a Bruxelles nel 1995 e il secondo è " Vivere e lavorare nella società dell’informazione: priorità alla dimensione umana ", edito ancora a Bruxelles nell’anno 1996. Concezione divenuta un riferimento fondamentale della Comunità, ma ripresa pienamente a livello nazionale, ad esempio anche con interessanti riferimenti personali, dal Presidente del Consiglio italiano agli Stati Generali della Scuola, manifestazione voluta recentemente per discutere della proposta di riforma dal Ministro Moratti. Ma tale concezione è divenuta anche la bandiera degli interventi di riforma del sistema della formazione, dell’orientamento e dell’avviamento al lavoro che, come vedremo meglio più avanti, ottiene grande attenzione da una (come esempio) delle Regioni italiane: l’Emilia e Romagna, venendo così a costituire il perno fondamentale delle politiche di riforma del lavoro e dell’educazione.

Insomma, da governi di destra e da governi di sinistra, dalla Comunità Europea e dalle Regioni ritorna un principio imprescindibile che rende di fatto la riforma del sistema dell’educazione una premessa della riforma del mercato e del mondo del lavoro: di fronte a trasformazioni strutturali rapide del mondo della produzione, di fronte alle pressanti richieste di un mercato mondiale, di fronte ad un sistema sempre più complesso di norme e di forme comunicative sono richieste conoscenze, competenze e atteggiamenti personali di alto livello: il capitale umano è prevalente su tutte le altre forme di ricchezza e potere. Pertanto la vera " Ricchezza delle Nazioni " per ricordare A. Smith, non risiede nelle nuove modalità del lavoro, ma nelle qualità umane, culturali e professionali dei lavoratori. Si tratta, conseguentemente, di riformare il sistema in almeno 3 punti

Quanto al primo punto, già in un altro intervento (cfr. nota n. 2), cui si rimanda, sono state esposte le linee generali di riforma, non senza concludere con un accenno alle nuove proposte del Ministro Moratti. Per ciò che concerne il terzo, invece, non sussiste documento regionale che non declari le azioni dirette in ordine a categorie protette, come quelle tradizionali dei disoccupati, delle donne, degli extracomunitari, dei soggetti in situazione di handicap, ed anche in ordine a nuove categorie, come quelle dei lavoratori o dei dirigenti da reinserire ecc.; sul secondo elemento, invece, si deve aprire un ampio discorso.

Dicevamo della proposta del Ministro Moratti: nel corso dell’anno 2001 alla guida politica del paese è stata chiamata la coalizione di centro – destra, interrompendo così un percorso di sviluppo intrapreso dalle precedenti coalizioni di centro - sinistra fin dal ’95 che avevano saputo, seppur non sempre in modo pienamente coerente tra loro (in particolare nel passaggio dal programma del Governo Prodi alla realizzazione del Governo Da Lema), avviare la riforma generale del sistema scolastico, con l’impostazione secondo una visione coerente di alcune delle principali questioni che tale riforma comportava inevitabilmente, come il riordino del Ministero e dell’Amministrazione Periferica; la parità tra scuola statale e scuola non statale; l’ordinamento della scuola su due soli cicli unitari; il trasferimento di competenze alle scuole e agli Enti locali; la prospettiva di una costruzione dei curricoli obbligatori con dimensioni locali e dei curricoli opzionali con valenze personalizzanti; la nuova dirigenza scolastica; il nuovo esame di stato; il nuovo obbligo scolastico; il nuovo obbligo formativo; una più avvertita partecipazione degli studenti e finalmente il loro statuto.

Con tutto ciò che si è avviato o addirittura definito, però, sono rimaste al palo talune (poche, ma pesanti) delle questioni fondamentali per gli sviluppi pratici, come quelle riguardanti gli organi collegiali d’istituto, gli strumenti della scuola autonoma (organico funzionale e bilancio), le operazioni di avvio dell’anno scolastico, il sistema nazionale di valutazione ed il sistema di autoanalisi di scuola ecc.. Per di più, su alcune questioni (come l’abolizione della scuola media) sono state notate troppo pesanti note ideologiche, più che serene analisi delle problematiche.

Così il nuovo Ministro, dopo gli interventi urgenti per assicurare un corretto inizio d’anno, ha presto sospeso l’attuazione del progetto di riforma dei cicli di matrice del centro – sinistra, per definire una nuova proposta, poi presentata sotto la firma del professor Bertagna al mondo della scuola e della società civile in occasione dei cosiddetti "Stati Generali". Di essa e della sperimentazione che ne sta derivando parleremo in un’altra occasione. Qui, invece, si vuole osservare come tutte le forme di integrazione e di condivisione di percorsi formativi comuni (Nos, Nof, Ifts, Eda) che erano già divenuti testo regolamentare della progettazione educativa prima del Ministro Moratti, rimangono e non solo; perché addirittura in alcune realtà regionali sono in sperimentazione forme di integrazione più spinta di quelle previste inizialmente dal Regolamento dell’Autonomia Scolastica (Dpr. 275/99).
 

4) Note:

1) Tratto da "TuttoscuolaNews" del gennaio ’02
2) Si tratta dell’articolo "La riforma della scuola e il successo scolastico e formativo di tutti gli alunni" da Rivista dell’Istruzione, n. 6 dell’anno 2001, Maggioli Santarcangelo

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