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Nuove prospettive per la pedagogia del corpo e del movimento dai  contributi delle neuroscienze cognitive (2006)

 

 

Indice:

1.      Le neuroscienze nel quadro delle scienze dell’uomo

2.      La corporeità come coscienza nucleare che interpreta i bisogni della persona

3.      Percezione conscia e inconscia. Funzioni vegetative

4.      Dalla corporeità alla motricità. Linguaggi non verbali e verbali

5.      Coscienza estesa, emozioni e memoria episodica

6.      La motricità della persona che agisce

7.      Neuroni specchio per un vocabolario d’atti e per la comprensione delle intenzioni

8.      La costruzione dello spazio lontano e vicino

9.      Prime prospettive pedagogiche e aree di ricerca

Bibliografia

 

 

Le neuroscienze nel quadro delle scienze dell’uomo.

           

            Davanti al continuo cambiamento innescato dalla riforma della scuola negli ultimi dodici anni, non tutti si sono resi conto che nel frattempo stavano cambiando anche il ruolo e la funzione della corporeità e, all’interno di essa, della motricità così come li pensiamo nello sviluppo della persona. Questo accade, forse, anche per altri punti di vista come quelli sociologico, culturale, psicologico, ma sicuramente per quanto riguarda la prospettiva da cui ce li stanno proponendo le nuove scienze del cervello e della mente. Nella rappresentazione tradizionale del compito biologico di tali dimensioni, infatti, si è sempre messo l’accento sulla loro strumentalità al fine principale di agire e conseguire uno scopo in un mondo già percepito e conosciuto (la realtà sia esterna che interna alla persona), talché lo studio dei processi neurofisiologici che fanno da substrato biologico alle interpretazioni psicologiche e psicoterapeutiche, partiva sempre dal versante senso-percettivo per arrivare solo in un secondo tempo a quello corporeo-motorio (si vedano i vari modelli logico/psicologici descritti in bib. n. 1).

            Anche la prima sintesi generale sulla funzionalità neuropsicologica di A. R. Lurija (I modello, cfr. bib. n. 2) risulta strutturata su tre blocchi e, in tal senso, l’A. assegna al primo blocco centroencefalico il compito di regolare il livello di energia e il tono della corteccia mediante la formazione reticolare del tronco dell’encefalo; al secondo blocco, costituito da tutta la corteccia postrolandica, il compito di analizzare, codificare e memorizzare le informazioni mediante le aree percettive visiva, uditiva e somestesica, strutturate secondo un’organizzazione gerarchica (seriale) a tre livelli (aree primarie, secondarie e terziarie); al terzo blocco, costituito da tutta la corteccia prerolandica, di formare le intenzioni e i programmi per il comportamento. Solo nell’analisi dei sistemi funzionali del movimento volontario (ipotesi della neurofisiologia russa) e della lettoscrittura (ipotesi Wernicke/Gerschwind) si aprono le prospettive di un intreccio in parallelo di catene nervose che possono sovrapporre modalità differenziate e specifiche al sistema generale.

            In questo modo, però, si continuava a proporre il modello di una funzionalità corporeo-motoria integrata solo su di una dimensione “consequenziale”, rispetto ad una cognizione, più o meno consapevole, ma certamente prevalente nel costruire l’orizzonte d’intenzionalità della persona; si tratta di un approccio fondato sull’atteggiamento cartesiano: prima penso, dubito, conosco per certo e poi agisco. Oggi, tuttavia, le nuove prospettive psicobiologiche (Oliverio), neurologiche e neuropsicologiche (Kandel, Damasio e Rizzolatti), neuropsicoanalitiche (Solms) e psicologiche (Neisser), unitamente a quelle psicoterapeutiche (Lo Verso) e riabilitative (Ramachandran), proponendo una diversa visione del corpo, della coscienza, delle emozioni e della motricità, tendono a rovesciare questo paradigma.

            In realtà tali prospettive erano state già intuite e proposte sia da filosofi del calibro di M. Merleau-Ponty (cfr. bib. n. 3) che da psicoterapie corporee (cfr. bib. n. 4), anche in assenza di un riscontro scientifico oggettivo; oggi però non è più così: nel quadro determinato dai numerosi apporti di quest’ampio ventaglio di discipline, tutte ugualmente valide nell’indagine del proprio oggetto di studio e ricerca, anche se poi talvolta divergenti l’una dall’altra sul senso di taluni fenomeni, bisogna, infatti, considerare come le neuroscienze assumano un significato particolare, perché, rimanendo delle tutto vincolate al dato oggettivo e sperimentale, possono a pieno titolo suffragare o meno quegli assunti delle altre discipline che, pur nascendo da interpretazioni di dati di fatto, mediante il medesimo processo interpretativo di comprensione se ne possono anche distaccare progressivamente. In questo senso i risultati conseguiti dalle neuroscienze, ancorché lenti ad emergere, perché legati al livello di sviluppo delle modalità e delle strumentazioni disponibili per lo studio del cervello e delle sue funzioni, segnano però il vero limite dell’orizzonte scientifico al momento pienamente accettato ed accettabile (anche se poi tutti gli esiti positivi delle discipline operative e terapeutiche sono accettabili nell’agire sociale, prescindendo dal riconoscimento scientifico dei loro fondamenti teorici, come la psicoanalisi freudiana aveva già dimostrato al suo tempo).

 

 

La corporeità come coscienza nucleare che interpreta i bisogni della persona.

 

            Se partiamo dalla considerazione che i contenuti della coscienza sono determinati dall’elaborazione dei percetti raccolti dalle aree di proiezione dei tre lobi corticali posteriori del cervello, capaci di trattare (dare senso e memorizzare mediante ricombinazione realizzata nelle aree di associazione cui partecipano anche embricazioni dall’area motoria del lobo frontale) in modalità consapevoli (epicritiche) quelle senso-percezioni che sono già state ampiamente elaborate in modalità inconsapevoli (protopatiche) da un centro (talamo) della base del cervello, provenendo da specifici organi sensoriali (rispettivamente la coclea dell’orecchio, la pelle e la retina dell’occhio), così come proposto dal I modello, dobbiamo tener presente che lo stato globale (in pratica, la tensione costante di base) della coscienza è determinato, invece, dalle varie modificazioni dell’ambiente interno del corpo (il corpo viscerale, espressione delle diverse combinazioni di tutti i parametri fisiologici e della condizione strutturale e funzionale degli organi o cenestesi). Tale stato è continuamente rilevato da recettori del sistema nervoso autonomo ed è mediato dal sistema reticolare attivatore ascendente (o ERTAS), un centro ampiamente diffuso nel tronco dell’encefalo capace, per una via, di attivare la corteccia riguardo ai bisogni del corpo (motivazioni di base o pulsioni), prima di diffondersi all’ipotalamo per subirne, in risposta, i diversi comandi (l’ipotalamo è il centro di controllo di tutte le funzioni vegetative che coordina sia in tempi rapidi, mediante il sistema nervoso autonomo, che in tempi più lunghi, attraverso il sistema ormonale).

            Per Damasio (bib. n. 5) che parte da documentati percorsi neurali, la coscienza ad un livello iniziale (coscienza nucleare come intenzionalità organica, cioè una percezione di base certamente non pienamente consapevole in una cultura come quella nostra che ha sempre considerato il corpo uno strumento dell’anima e dunque più da negare che da ascoltare, ma in altre culture sicuramente più piena, cfr. bib. n. 6) consiste in un continuo circuito tra i due elementi discussi sopra, dove si rende evidente che i bisogni del corpo (stato) non possono essere soddisfatti altrimenti che dalle caratteristiche dell’ambiente (contenuti). In questo modo, tuttavia, non si determina soltanto la presenza alla mente di un elemento dichiarativo (per esempio: mi sento così e sono in questa situazione), quanto piuttosto si realizza un’attribuzione pragmatica di valore e di senso (per esempio: mi sento così - affamato - e cerco qualcosa da mangiare, tenendo conto di questa condizione in cui mi trovo). In tal modo le diverse situazioni in cui ci si viene a trovare di volta in volta, assumono progressivamente una colorazione qualitativa, così da diventare situazioni di benessere o di malessere per il rispecchiamento del nostro stato interno sulla percezione della condizione esterna (fino ad oggi interpretato come l’atteggiamento della persona per reattività spontanea alla situazione in cui si viene a trovare). In questo senso “la funzione della coscienza è del tutto subordinata al fatto di essere innestata in un corpo, ovvero alla consapevolezza del proprio stato corporeo in relazione a quello che ci sta succedendo attorno. Inoltre, questo meccanismo sembra essersi evoluto solo perché il corpo ha in sé dei bisogni concreti. La coscienza si radica profondamente in una serie di valori biologici assai primitivi. Questi valori sono alla base dei sentimenti, e la coscienza è essa stessa costituita da sensazioni” (bib. n. 7).

 

 

Percezione conscia e inconscia. Funzioni vegetative e somatiche.

 

            A questo punto, però, prima di andare avanti si devono fare due necessarie precisazioni, perché questa sintesi non induca in errori concettuali il lettore: la prima riguarda la coscienza della percezione e la seconda il monitoraggio viscerale che si colloca alla base della coscienza “nucleare”. Per quanto riguarda la percezione corticale cosciente, bisogna considerare che numerosi fenomeni (visione cieca, arto fantasma, fenomeni del cervello diviso, memoria implicita ecc.) ce la fanno apparire chiaramente come il versante emerso di un ben più ampio magazzino di percezione totalmente inconscia, non soltanto oggetto di trattamento protopatico da parte del talamo (e perciò ancora recepibile e indagabile come uno stato profondo e latente, dotato però di un deciso indirizzo sull’intenzionalità della persona), ma anche oggetto d’elaborazione riflessa (perciò totalmente inconsapevole) da parte di centri specifici nel tetto del mesencefalo (corteccia dell’antico cervello o del primo blocco di Lurija) che, anche se non sono coscienti di percepire, in compenso elaborano in modo riflesso stimolazioni corporee, visive e uditive per organizzare la postura, la reattività e i sistemi d’azione del corpo (in una parola: le funzioni somatiche dell’organismo) in conseguenza delle situazioni d’allarme e pericolo di cui, persino, la persona può divenire consapevole solo dopo la realizzazione dell’atto riflesso.

            Per ciò che concerne, poi, il monitoraggio viscerale che si colloca all’origine della coscienza del sé corporeo, bisogna precisare che esso non dà luogo ad una mappatura di tipo somatico (come quella tipica - l’homunculus motorio - che, secondo tradizione, presiede al controllo preciso dei movimenti volontari nella vita di relazione, presente nell’area corticale motoria primaria), ma ad una rappresentazione “globale” di stati fisiologici (una mappa delle funzioni della vita vegetativa), dove al più vi è un assetto delle qualità “esistenziali” di base, come sottofondo di piacere o di dispiacere (raccolte dal nucleo del GPA del mesencefalo).

            Tuttavia proprio accanto a questa centrale cenestesica della sensibilità viscerale si trova quell’altro centro della sensibilità somatica (quello nel tegmento dorsale e nel tetto del mesencefalo che presiede ai movimenti riflessi del corpo di cui si è detto poco sopra). Questa vicinanza consente al soggetto, dotato di capacità introspettive e appartenente ad una cultura che le valorizzi, di far emergere nel vissuto corporeo una mappa rappresentativa dello stato (di benessere e malessere) degli organi interni e profondi e di avviarne una forma di monitoraggio che può risultare più o meno spinto in conseguenza della propria capacità introspettiva, come ci mostrano i maestri dello Yoga (cfr. bib. n. 8).     

 

 

Dalla corporeità alla motricità. Linguaggi non verbali e verbali.

 

            Sopra la coscienza nucleare si sviluppa (sempre da un punto di vista evolutivo) un livello di consapevolezza più ampia e potente che Damasio chiama appunto “estesa”, ed anche altri Autori identificano (seppur chiamandola con altri termini) come una coscienza della coscienza. Si tratta, in altre parole, non più solo di una percezione dei propri vissuti corporei interni (corporeità), ma della consapevolezza di provare sensazioni (percetti o, nel gergo neurologico, “qualia”) riguardo ad un ente esterno (percezione), o della consapevolezza di decidere la disposizione e l’azione del proprio corpo (motricità). Una tale consapevolezza della percezione (considerando anche il motorio nel ciclo della percezione, benché sarebbe meglio parlare di senso/percettivo/ideomotricità come avevamo proposto alcuni anni fa nell’elaborare una scala di sviluppo delle abilità di movimento, cfr. bib. n. 9) si può determinare solo perché se ne può pensare l’oggetto attraverso segni mentali (non solo tracce percettive, ma veri e propri segni) e, così facendo, si possono trattare non solo i percetti in corso al momento, ma anche quelli già raccolti (memorie) e persino quelli soltanto immaginati (fantasie, idee, progetti) che si costruiscono ricombinando originalmente elementi d’altri percetti.

            In questo senso la coscienza estesa lavorerebbe (uso il condizionale perché le nuove scoperte di Rizzolatti possono ampiamente modificare questa posizione) sui raccordi (aree di associazione, sede delle abilità cognitive più elevate come fasie, gnosie e prassie) delle tre aree della corteccia cerebrale posteriore e dell’area motoria del lobo frontale, già viste a proposito del I modello di Lurija, ma certamente realizza la sua funzione sovrastrutturale (metacognitiva) soprattutto nelle aree prefrontali dove decide cosa fare e come farlo, sia direttamente attivando l’area motoria, ovvero lasciandolo agli automatismi motori sottocorticali, già appresi e memorizzati (tutte funzioni decisionali del lobo frontale). Questa coscienza estesa può avere diverse modalità di funzionamento che nella vita quotidiana si integrano sotto la dominanza linguistica dell’emisfero sinistro; due sono evidenti: la più elementare è quella che ci permette di lavorare con il linguaggio non verbale delle immagini (combinazioni di percetti iconici, tracce uditive e schemi sensomotori) e, per taluni Autori, rappresenta la modalità prevalente dell’emisfero destro. Tale modalità sviluppa la memoria procedurale (una rappresentazione della strutturazione - sequenza - degli atti che esprime, per tutte le azioni complesse, sia la capacità di fare, che la conoscenza di come si fa), mentre la più evoluta è quella che ci permette di lavorare con il linguaggio verbale e sviluppa la memoria semantica (organizzazione di reti di significati che, collegando le varie informazioni, sottendono la nostra conoscenza generale del mondo).

            Mentre la prima modalità è legata alle caratteristiche formali degli enti (nel senso che l’immagine mentale è pur sempre e soltanto uno schematismo o, in altre parole, un’astrazione non arbitraria della percezione della realtà che si esplica mediante regole logiche e infralogiche), la seconda è legata a caratteristiche dell’inferenza semantica del tutto arbitrarie rispetto alle caratteristiche formali degli enti e si esplica secondo talune regole di combinazione dei segni generatrici di significato, ma, diversamente dall’immagine, nei confronti del medesimo significato ancora del tutto arbitrarie, come la triplice articolazione linguistica (fonema, parola, testo) o la costruzione sintattica (grammatica generativa trasformazionale, asse sintagmatico/asse paradigmatico ecc.). Da queste diverse modalità di funzionamento (che nella fenomenologia della vita quotidiana, però, agiscono in modo altamente integrato così da costruire il senso di una realtà coerente) discende che se l’immagine mentale ci dà comprensione totalizzante e immediata del percetto secondo un codice analogico, il linguaggio ce la dà invece attraverso una costruzione successiva e progressiva, nonchè secondo un codice digitale, ma proprio per le sue caratteristiche intrinseche può anche trattare il medesimo significato linguistico o la stessa immagine mentale, operando così ad un livello metalinguistico caratteristico della coscienza della coscienza, o della coscienza estesa di Damasio.

 

 

Coscienza estesa, emozioni e memoria episodica.

 

            La coscienza estesa, come si è visto, esprime capacità assai raffinate di comprensione della realtà, e tuttavia rimane ampiamente connessa alla coscienza nucleare del corpo vegetativo mediante le emozioni che possono costituire, così, una fonte d’energia per l’intera esistenza della persona (il temperamento che si esprime nel carattere). Le emozioni, infatti, al pari delle percezioni e delle azioni motorie, sono mediate da circuiti neuronali ben individuabili che connettono il cervello filogeneticamente più antico delle reazioni viscerali innate (sistema spino e troncomidollare, cfr. bib. n. 10), con quello più evoluto (aree della corteccia prefrontale) mediante i centri dell’ipotalamo, del talamo e del lobo limbico (in particolare l’amigdala, cfr. bib. n. 11), talché si possono considerare come modalità sensoriali destinate a raccogliere gli stati interni e fornire informazioni su come ci si sente, dando luogo alla percezione cosciente dei propri stati d’animo. Anche in questo caso, dunque, come abbiamo già visto in modo similare per la cenestesi, la percezione dell’emozione non è altro che l’interpretazione del complesso d’adattamenti vegetativi e somatici innescati dai riflessi del sistema nervoso autonomo o dalle regolazioni ormonali controllate dall’ipotalamo, con qualcosa di più: la consapevolezza. La percezione consapevole delle emozioni, però, dà luogo a tutto un complesso d’effetti sia sul piano della comprensione di sé, globale e di genere, sia su quello dell’azione e sia su quello della relazione con gli altri, entrando potentemente nella determinazione dello sviluppo e nel recupero della memoria episodica.

            Nel compiere qualunque atto della vita quotidiana, infatti, l’attenzione del soggetto generalmente è rivolta soltanto ad un aspetto dell’attività (o il fine, o l’obiettivo, o le modalità, o una delle circostanza ecc.), mentre tutto il resto dell’azione si realizza sulla base di memorie procedurali (abitudini) e semantiche (credenze) implicite, cioè non coscienti al momento dell’atto. Ma gli atti possono divenire coscienti in due modi, o con uno sforzo in un momento di particolare necessità e per effetto dell’intenzionalità del soggetto medesimo, quando lo vuole cioè con la coscienza estesa, o in modo spontaneo (ma per Freud non casuale) a partire da un elemento presente al soggetto sia nella realtà circostante che nello stato del suo corpo e nella percezione del suo movimento (cioè nella rappresentazione per immagini mentali del presente percepito) che sia soprattutto capace di attivare l’attenzione (con l’emozione). In entrambi i casi la coscienza si realizza recuperando ricordi di esperienze personali da quel grande serbatoio che Damasio chiama il “Sé Autobiografico” e che costituisce il ponte oscillante tra le due forme della coscienza umana. La memoria episodica fa rivivere momenti esperienziali già vissuti con tutta la loro atmosfera emotiva, abbinando stati del sé della coscienza nucleare a situazioni del mondo esterno presenti alla coscienza estesa che, così, si estende a ritroso: in tal modo le memorie recuperate sarebbero, in verità, “ricostruite” rivivendo (e dunque anche riattualizzando stati della coscienza nucleare) contenuti di memorie implicite.    

 

 

La motricità della persona che agisce.

 

            Nella topografia disegnata dalla sintesi sui tre blocchi di Lurija (I modello 1970) il sistema deputato al controllo del movimento era già rappresentato nel lobo anteriore del terzo blocco e precisamente sulla zona prerolandica che va dal solco centrale fino all’inizio della zona prefrontale (deputata all’ideazione e alla decisione), con un’area motoria principale e due aree motorie secondarie. Se si prende come seconda tappa nello sviluppo dello studio delle neuroscienze (II modello 1995) il lavoro del Premio Nobel E. R. Kandel (Op. cit. in bib. n. 11), si può vedere che circa dopo venticinque anni per il motorio non si è andati molto più avanti, se non distinguendo una funzione di comando del movimento volontario, con selezione sia della forza che della direzione appropriate in gesti semplici (movimenti elementari) a carico dell’attività dell’area primaria, e un’analoga funzione di controllo del coordinamento di contrazioni coinvolgenti più articolazioni di un emicorpo (movimenti combinati), a carico dell’area secondaria localizzata nella zona chiamata area premotoria, e del coordinamento di contrazioni coinvolgenti più articolazioni da entrambe le parti del corpo (movimenti complessi), a carico dell’altra area secondaria localizzata nella zona chiamata area motrice supplementare. A questo punto, però, entra in scena il lavoro di G. Rizzolatti (III modello 2005, cfr. bib. n. 12)

            Il punto di partenza è ancora il I modello e in particolare i problemi di collegamento tra il II e il III blocco, cioè dove si realizza il passaggio dalla percezione al movimento. Per il ricercatore dell’Università di Parma le vecchie rappresentazioni corticali del movimento (compreso l’homunculus di Penfield) sono ormai insufficienti, perché la ricerca sta dimostrando che nell’area anteriore alla scissura di Rolando (fino all’area prefrontale esclusa) sussistono varie aree motorie, ciascuna con proprie specificità distinguibili a seconda della collocazione: vicino all’area prefrontale (aree anteriori) o alla scissura di Rolando (aree posteriori), e con collegamenti corticali prevalenti all’area prefrontale (delle intenzioni e delle decisioni), o alla corteccia del cingolo (per l’elaborazione delle motivazioni su base emozionale e affettiva) per le prime e all’area postrolandica (della sensibilità somatica) per le seconde. Una differenziazione sussiste anche per i collegamenti sottocorticali con l’area motoria primaria (la più vicina alla scissura) che in parte termina nella regione intermedia fra i corni del midollo spinale e in parte si distribuisce alle lamine dei motoneuroni (portando precisi e localizzati  comandi motori alla “via finale comune” per l’attuazione dei movimenti elementari), mentre tutte le altre aree (anteriori e posteriori) si distribuiscono solo alla regione intermedia per i necessari collegamenti ai circuiti riflessi d’adeguamento della condizione del corpo al movimento elementare principale e ai movimenti combinati e complessi.

            Tra i collegamenti corticali, poi, è molto interessante seguire i circuiti che collegano le aree motorie posteriori all’area postrolandica della sensibilità del corpo, perché in alcune delle sue zone disposte più indietro (vale a dire verso il lobo occipitale), nel I modello considerate come secondarie nel trattamento della sensibilità del corpo, si sono registrate attività in connessione con il movimento, talché si deve considerare come aree motorie posteriori e aree somatosensoriali posteriori costituiscano un complesso circuito di “trasduzione” di differenti stimoli sensoriali (somatici, visivi e forse anche uditivi) in modalità motorie. All’interno di questo complesso, poi, sussistono specifici circuiti che utilizzano l’informazione somatosensoriale per la localizzazione delle parti del corpo da adattare al movimento principale, ovvero l’informazione visiva per la codifica dello spazio circostante e così via.

 

 

Neuroni specchio per un vocabolario d’atti e per la comprensione delle intenzioni.

 

            Del resto bisogna considerare che nelle aree motorie posteriori (escludendo la motoria primaria) non si codificano “singoli movimenti, ma atti motori”, in altre parole molti neuroni si attivano selettivamente quando si compie un determinato tipo di gesto, ma prescindendo completamente da quale parte del corpo vi sia impegnata (un atto effettuato o con la mano destra, o con la bocca, o con la mano sinistra indifferentemente), ovvero un raggruppamento di neuroni si attiva per un tipo di presa o una determinata fase della presa e un altro raggruppamento per un'altra presa o per un’altra fase, pur essendo entrambe le prese effettuate con la medesima mano. In questa prospettiva l’A. parla di un meccanismo di “Risonanza” riprendendo la nozione “introdotta da J. J. Gibson ... per cui la percezione visiva di un oggetto comporta l’immediata e automatica selezione delle proprietà intrinseche che ci consentono d’interagire con esso” (cfr. bib. n. 13). Ma allora di cosa parliamo, sono aree visive o motorie? Il segreto del funzionamento di queste aree è stato scoperto da Rizzolatti e dalla sua scuola studiandone il circuito con le aree della corteccia somatoestesica posteriore prima nei primati e poi nell’uomo, quando ha potuto registrare la massiccia presenza dei “neuroni specchio”.

            Si tratta di neuroni che si attivano nel fare determinati movimenti (sia atti transitivi o azioni finalizzate, che atti intransitivi o gesti comunicativi), ma anche nel vedere gli altri fare gli stessi movimenti e, a differenza degli altri primati soltanto nell’uomo, anche vedendo gesti mimati e non azioni vere e proprie. Questi neuroni specchio si trovano nel circuito che collega aree disposte davanti a quella motoria principale e dietro a quella somestesica principale in entrambi gli emisferi (e in particolare, in quello sinistro, si trovano anche nella famosa area di Broca, tanto che l’A. può autorevolmente discutere dell’origine del linguaggio verbale da un primitivo linguaggio gestuale). Come neuroni “bimodali” (così chiamati perché si attivano nella realizzazione di movimenti e nella percezione visiva) i neuroni specchio permettono di codificare la realtà secondo azioni intrinsecamente collegate alla percezione visiva delle cose: un vocabolario di atti che ci permette di vedere le cose in funzione dell’azione che stiamo per compiere. Ma il possesso di un tale vocabolario ci permette anche di cogliere il significato degli atti medesimi negli altri e di anticiparne gli sviluppi dell’azione in corso: in tal senso, dopo aver rilevato le tracce corticali all’esposizione delle tre principali componenti degli atti (contesto, azione e intenzione) ed averle sovrapposte, potendo così individuare come l’area dell’intenzione fosse la più espansa e capace di includere entrambe le altre, l’A. può affermare “il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare non solo l’atto osservato (nella fattispecie, l’afferrare qualcosa con una determinata presa), ma anche l’intenzione con cui esso è compiuto - e ciò probabilmente perché l’osservatore, nel momento in cui assiste all’esecuzione di un atto motorio da parte di un altro, anticipa i possibili atti successivi ai quali quell’atto è concatenato” (cfr. bib. n. 14).

 

 

La costruzione dello spazio lontano e vicino.

 

            Questo carattere prassico e previsionale intrinseco alla percezione delle cose è ancor più esaltato nell’organizzazione dello spazio. Partendo dalla constatazione che per agire sulle cose bisogna prima percepirle, ma poi bisogna anche raggiungerle per manipolarle, l’A. ha studiato quei circuiti tra aree motorie e aree somestesiche che sono deputati alla localizzazione degli oggetti nello spazio ed ha trovato due modalità di codifica spaziale differenti che, cioè, impiegano sistemi diversi di coordinate. Tali sistemi sono ampiamente descritti nella letteratura dei casi di “neglect” (lesioni parietali posteriori dell’emisfero non dominante che portano i pazienti a trascurare le informazioni somatiche provenienti dall’altro lato del corpo) con diverso comportamento in relazione alle due sfere spaziali.

            Una modalità di coordinate, infatti, si attiva per le cose lontane (l’A. parla di spazio extrapersonale) e non presenta neuroni specchio; si origina dai campi oculari per il controllo dei movimenti saccadici degli occhi (movimenti rapidi che facciamo inconsciamente, ruotando gli occhi per portare la traccia percettiva degli oggetti sulla fovea della retina, onde analizzarla accuratamente) e in conseguenza di ciò tale modalità codifica lo spazio in ordine alla posizione che l’oggetto assume rispetto alla retina medesima (cioè lo spazio proiettivo che nasce dal punto di origine della visione circa tra i due occhi). L’altra, invece, si attiva per le cose vicine (l’A. parla di spazio peripersonale, intendendo quello spazio circostante al corpo che è raggiungibile dall’estremità degli arti superiori, anche quando incorporano uno strumento, come una penna, una spazzola ecc.): questa dimensione è registrata su di un circuito di aree cerebrali motorie e somestesiche che vedono la massiccia presenza di neuroni specchio; proprio tali neuroni sono responsabili di una codifica delle percezioni delle cose secondo una localizzazione strutturata dentro una rete di coordinate somatiche, cioè centrate sulle varie parti del corpo (capo, tronco e arti superiori). In questo sistema di localizzazione, perciò, non ha influenza il movimento dell’occhio che fissa la cosa (punto di vista tendenzialmente considerabile unico), ma come si dispongono le varie parti del corpo in relazione alla cosa: una disposizione che risulta integrata nelle prospettive delle diverse parti del corpo e continuamente variabile a seconda dell’andamento e della strutturazione dei vari movimenti delle stesse. Questa modalità di localizzazione ha un carattere pragmatico, dando dello spazio una rappresentazione attraverso un sistema di relazioni costruito sugli atti che permette (dice l’A. citando M. Merleau-Ponty) di ”inscrivere intorno a noi la portata variabile delle nostre intenzioni o dei nostri gesti”.

 

 

Prime prospettive pedagogiche e aree di ricerca

 

            Alla luce di quanto sinteticamente esposto, il sapere del corpo va realmente valorizzato negli apprendimenti fin dalle prime età, perché costitutivo dello stato profondo dell’identità personale ed influente perciò su tutti i piani e nei diversi tempi dell’esistenza, anziché farne soltanto un motto da mettere in testa alle dichiarazioni epistemologiche della disciplina, come accade oggi, per poi buttarsi subito nella dimensione prestazionale. Valorizzare il sapere costitutivo del corpo, dunque, significa che un’educazione esplicita del corpo va guidata sulle dimensioni della presa di coscienza del proprio stato corporeo (mettendo in dialogo la coscienza estesa con quella nucleare) attraverso le funzioni precipue di tale “coscientizzazione” (respirazione, rilassamento, eutonia, ginnastiche dolci, equilibri ecc.), già ampiamente presenti alla comune dotazione contenutistica e culturale della vecchia ginnastica e della vecchia educazione fisica (giacché a parere dello scrivente, nell’attuale fase di sistemazione dei curricoli universitari, le Scienze Motorie sono solo un contenitore dove prevale la prospettiva funzionale sanitaria in ogni direzione, con conseguentemente emarginazione delle logiche più pedagogicamente fondate).

            Diversamente, invece, deve accadere per la valorizzazione della corporeità e della motricità nella costruzione di senso finalizzata alle strutturazioni logiche e infralogiche della realtà, da un lato, oltreché all’intreccio continuo delle funzioni relazionali ed espressive mediante un approccio globale e sinestesico alla comunicazione tra il corpo proprio e quello altrui, dall’altro lato. La riduzione del corpo alla sua motricità (con l’educazione motoria nella scuola primaria finalizzata all’esercitazione funzionale degli schemi motori e con il prevalere delle dimensioni prestazionali nelle scuole secondarie) ha definitivamente spazzato via le grandi intuizioni degli anni ’70 (A. Tonetti, L. Calabrese ed E. Fabbri) e ’80 (M. Gori, E. Mantovani e A. Bianco Dettori) di un approccio più fenomenologicamente fondato sulle caratteristiche e sui bisogni del soggetto in apprendimento. Contemporaneamente, però, sono emerse molte nuove prospettive scientifiche sulle operazioni mentali (Psicologia cognitiva, Stili cognitivi, Metacognizione ecc.), nuove caratterizzazioni della comunicazione (Pragmatica della Comunicazione, Costruttivismo linguistico, Semantica del Significato, Teoria dei Segni ecc.) e della comunicazione educativa (Didattica come Teoria della Cultura, Didattica della Narrazione ecc.).

            Si tratta, perciò, oggi di ricominciare la ricerca, in particolare con i docenti del ciclo primario, proprio su queste dimensioni e partendo dagli elementi delle operazioni spazio-temporali (cfr. bib. n. 15) integrati e integrabili negli apprendimenti globali (sfondo integratore, progetti didattici, continuità educativa e didattica, unità d’apprendimento, profilo di competenze ecc.), da un lato, e dagli elementi del linguaggio del corpo (cfr. bib. n. 16), dall’altro, salvandone la spontaneità espressiva nella vita quotidiana e sviluppandone la dimensione estetica su tutti i piani dell’insegnamento. In tal senso la riduzione del corpo alla sua motricità va attuata soltanto con grande attenzione e cura in ordine a precisi obiettivi specifici d’apprendimento e va gestita esclusivamente con l’intento di riportare ai significati corporei più profondi anche le prestazioni motorie nell’ambito degli obiettivi formativi globali, onde determinare la vera costruzione di competenze richieste dalla nuova scuola. Sempre ammettendo che a qualcuno interessi.

 

 

Bibliografia

 

1)      M. P. Dellabiancia, Integrazione scolastica e valutazione nelle disabilità neuro e psicomotorie, in  www.nonsolofitness.it/dellabiancia, al capitolo III dal titolo Interpretazione psico-pedagogica della FUNZIONE MOTORIA 

2)      A. R. Lurija, Le funzioni corticali superiori nell’uomo, ed. orig. 1962, L’organizzazione funzionale cerebrale, in Le Scienze, n. 22, 1970, Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, ed. orig. 1973 e Problemi fondamentali di neurolinguistica, ed. orig. 1975

3)      M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, ed. orig. 1942 e La fenomenologia della percezione, ed. orig. 1945

4)      M. Ceruti e G. Lo Verso, a cura di, Epistemologia e psicoterapia, R. Cortina Milano 1998 dal IX al XII capitolo, W. Pasini, Il corpo in Psicoterapia, R. Cortina Milano 1982 e S. Spinanti, Il corpo nella cultura contemporanea, Queriniana Brescia 1983, Parte Prima Capitolo IV

5)      A. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi Milano 2000

6)      M. P. Dellabiancia, Il corpo nella pranoterapia, in www.dellabiancia.it/educazionefisica e L. Cavana, Il corpo come strumento di conoscenza. Il punto di vista delle Vie orientali, in “Voci del corpo” a cura di L. Balduzzi, La Nuova Italia Firenze 2002

7)      M. Solms e O. Turnbull, Il cervello e il mondo interno, Raffaello Cortina Ed. Milano 2004, citato a pag. 108

8)      E. Mircea, "Lo Yoga immortalità e libertà", Sansoni, Milano 1982 e "Tecniche dello Yoga", Boringhieri Torino 1984

9)      M. P. Dellabiancia, Educazione motoria e scala di sviluppo delle abilità, in www.dellabiancia.it/educazionefisica

10)    A. Oliverio, Biologia e comportamento, Zanichelli Bologna 1982; Esplorare la mente, R. Cortina Milano 1998; La mente, Rizzoli Milano 2001; Motricità, Linguaggio e Apprendimento, in www.edscuola.it

11)    E. R. Kandel el Alii, Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, Ambrosiana Milano 1999, capitolo 32, ed. orig. 1995

12)    G. Rizzolatti e C. Sinigaglia, So quel che fai, R. Cortina Milano 2006

13)    G. Rizzolatti e C. Sinigaglia, op. cit. a pag. 35

14)    G. Rizzolatti e C. Sinigaglia, op. cit. a pag. 125

15)    M. P. Dellabiancia, Itinerari di percezione, conoscenza e coscienza del corpo e Itinerari di organizzazione spazio-temporale e causale della realtà, in www.dellabiancia.it/educazionefisica

16)    M. P. Dellabiancia, Educazione del corpo e Linguaggio del movimento, sulla Rivista “Scuola e Didattica” n. 9 dell’anno XL, Una tassonomia dei Linguaggi non verbali, sulla Rivista “Scuola e Didattica” n. 13 dell’anno XLI e Itinerari di linguaggio del movimento e di attività motorie espressive, in www.dellabiancia.it/educazionefisica.

 

Cattolica, luglio 2006                                                                          Marco Paolo Dellabiancia

 

 

 

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