Torna all'indice!

 

 

 

Indice:

1) La didattica come disciplina pedagogica

2) La didattica come scienza autonoma

3) La ricerca sperimentale e i suoi problemi

4) La ricerca clinica e la ricerca-azione in didattica

5) Il modello della “teacher effectiveness”

6) Il modello dell’insegnante di qualità

7) Il sistema di padronanza e l’insegnante riflessivo

8) “Nuova Ricerca Didattica” per l’insegnante ricercatore

9) Ricerca e sviluppo nella riforma del sistema educativo

10) Sperimentazione per il cambiamento teso al miglioramento

 

 

1) La didattica come disciplina pedagogica

 

              In Italia all’incirca fino a metà anni ’70 con “didattica” s’intendono le azioni che il docente compie per tradurre il programma in conoscenze (allora considerate comprensive di sapere, saper fare e saper essere) degli alunni nell’ambito scolastico: azioni strettamente connesse e consequenziali alla teoria pedagogica che risulta decisamente prevalente, almeno nelle dimensioni che prende in considerazione, sulla realizzazione pratica (che invece continua a rimanere largamente autonoma nelle dimensioni non teorizzate pedagogicamente). Da allora gli sviluppi determinati dalle prospettive introdotte con l’epistemologia pedagogica e le scienze dell’educazione, da un lato, e dalle conseguenze di fenomeni sociali come la scolarizzazione di massa e la formazione permanente, dall’altro lato, hanno ampliato i confini della didattica (C. Laneve[1] teorizza, infatti, lo sviluppo di una didattica formale, caratteristica della scuola, e una non formale, caratteristica dell’extrascuola), legittimandone una certa autonomia dalla pedagogia (maggiore o minore, a seconda della prospettiva teorica di ciascun Autore). Così la didattica ha esteso il suo campo ad altri luoghi (l’educazione prescolastica, la formazione al e del lavoro o alle e delle culture del dopolavoro, l’integrazione formativa delle categorie emarginate), ad altri percorsi (l’educazione, la formazione, l’istruzione integrata e l’integrazione scolastica e lavorativa), ad altre categorie (alle donne, agli emarginati, agli anziani) e ad altre età (a bambini piccoli, a giovani e adulti sia lavoratori da riconvertire che da inserire, reinserire e riqualificare nel lavoro, ad anziani da valorizzare, a tutti, con particolare attenzione agli emarginati, da orientare con la definizione o la revisione del proprio progetto di vita).

            In tal modo la didattica si è posta all’attenzione anche delle politiche culturali come l’oggetto peculiare e autentico dell’agire educativo che, approfittando della crisi della pedagogia, si è appropriato di tutto il proprio campo epistemico in un modo tendenzialmente libero da ripercussioni sia filosofiche che delle scienze dell’educazione, individuando, con una ricerca che nasce da bisogni emergenti, i propri processi, le proprie tecniche ecc. e tutte le altre dimensioni caratteristiche di una propria disciplinarità. Per sottrarsi, tuttavia, anche allo spontaneismo e all’improvvisazione che hanno da sempre caratterizzato le pratiche dell’insegnamento, quando non sottoposte ad un processo critico di razionalizzazione, sono stati individuati alcuni nodi prevalenti (la scuola come sistema, l’istruzione come processo, il curricolo come sfondo generale e l’insegnamento/apprendimento come progetto specifico) attorno ai quali si sono sviluppati differenti modelli interpretativi con proposte operative coerenti. Ogni modello, tuttavia, continua a far necessariamente riferimento ad un approccio teorico: nell’analisi di M. Tarozzi[2], tale riferimento imprescindibile costituisce il paradigma di spiegazione e interpretazione (vale a dire una nuova dimensione metateorica).

            In tal senso accanto ai modelli riferiti ad orientamenti pedagogico-filosofici (come idealismo, pragmatismo, marxismo e criticismo, fenomenologia, ermeneutica, teoria dei sistemi, filosofia analitica ecc.), stanno quelli riferiti a prospettive scientifiche (come comportamentismo, gestaltismo, cognitivismo, teorie socioantropologiche, funzionalismo, strutturalismo, scienze dell’informazione e della comunicazione, scienze biologiche e psicobiologiche ecc.). In definitiva ancora le pratiche didattiche si configurano come strumenti operativi e rimangono, perciò, fondate più o meno palesemente su modelli teorici che si collocano entro precise tradizioni simbolico-culturali; l’alto numero dei modelli ammissibili dice chiaramente che ciascuno di essi da solo non è certamente in grado di esaurire l’intero campo epistemico della didattica: di fronte a ciò non si tratta, perciò, come dice C. Laneve[3], di accogliere un progetto acriticamente eclettico e genericamente pluricomprensivo, ma della necessaria ricerca di senso nei sentieri virtuosi nel labirinto della complessità dell’azione didattica.

 

2) La didattica come scienza autonoma

 

            Così nel 1993 L. Calonghi[4], proponendosi dal punto di vista di un’equilibrata distanza sia dalla pedagogia filosofica che dalle scienze dell’educazione, fonda la SIRD (società italiana di ricerca didattica). Subito però si sospingono più avanti F. Frabboni[5], che proviene dalla posizione del “problematicismo” e, come fervente “didatticista”, rifiuta per la didattica lo statuto di scienza derivata, perché ritenuta priva del livello epistemologico di una sua riflessione fondazionale, e L. Lumbelli[6] che rivendica la necessità di un sapere rigoroso, tale, in altre parole, da poter garantire un controllo empirico delle proposizioni pedagogiche. Più sfumata, anche se sostanzialmente non in opposizione ad una certa autonomia, appare la prospettiva dei “fenomenologi” P. Bertolini[7] e M. Manini[8] che propongono una circolarità tra teoria e prassi con influenze vicendevoli.

            Per Frabboni[9], invece, la didattica è concretamente una scienza autonoma che già esiste per assolvere al compito di far interagire il soggetto che apprende (secondo le diverse dimensioni dello sviluppo) con gli oggetti dell’apprendimento (i sistemi simbolico-culturali), realizzandosi in un primo tempo come osservazione, analisi e preparazione dei dati di fatto riguardanti prassi educative e didattiche generalizzabili e categorizzabili. Tale modellizzazione dell’esperienza va, poi, strutturata in un sistema di ipotesi su cui si possano esercitare due logiche simultaneamente: quella induttiva (dalla pratica alla teoria) che parte dai fatti educativi (esperienze, prodotti, processi, azioni) per far sintesi a posteriori, e quella deduttiva (dalla teoria alla pratica) che, attraverso l’argomentazione (analisi, concettualizzazione, interpretazione, teorizzazione), riferisce criticamente con sintesi a priori sui medesimi fatti.

            Questo modello razionalista dalle venature empiriche (per l’A.), partendo dai fatti, non potrà mai cadere nelle incongruenze tipiche e nei fallimenti ricorrenti che il discorso teorico (pedagogico e filosofico) incontra quando teorizza su osservazioni non deducibili. Tale sistema ipotetico, poi, sarà trattato dal processo epistemologico (che va dalla teoria alla prassi) per una formalizzazione nella direzione scientifica (negata dalle teorie bionaturalistiche e idealistiche), e da quello metodologico (dalla pratica alla teoria e poi da questa alla pratica ancora) che attraverso lo studio dei processi d’alfabetizzazione, ricerca e laboratorio creativo sviluppa i percorsi educativi, potendo prendere le distanze dai metodi didattici classici, considerati dall’A. come ingessature della didattica.

            Come scienza della formazione la didattica dispone di una propria morfologia epistemologica (per l’A. a forma di esaedro) con le sei facce caratterizzate da: a) i contenuti, vale a dire i saperi che, in senso generale, riguardano organizzazione e curricolo, mentre in senso disciplinare, i processi d’insegnamento/apprendimento disciplinari e gli strumenti culturali, b) i linguaggi, i mediatori della cultura, i codici disciplinari e transdisciplinari, c) la logica ermeneutica, una precisa modalità interpretativa costruita sul triangolo prassi-teoria-prassi, d) la logica euristica, i processi della ricerca sperimentale, di quella clinica e della ricerca-azione, e) il principio euristico, dimensione dinamico-creativa fondata sulla dialettica di quelle antinomie che riguardano la formazione come educazione-istruzione, scuola-ambiente, classe-gruppo e così via, f) il paradigma di legittimazione, quel congegno di validazione che mette alla prova l’identità della didattica come scienza della comunicazione educativa, facendo dichiarare, fin dall’inizio della situazione problematica di partenza, le condizioni e le prospettive della propria azione, il senso (giacché per l’A. la legittimazione non può derivare da criteri astratti ed esterni).

 

3) La ricerca sperimentale e i suoi problemi

 

            Come scienza, del resto, la didattica è in continua costruzione tramite la ricerca. In generale la ricerca sperimentale procede secondo un percorso già definito nel 1938 da J. Dewey in “Logica, teoria dell’indagine” che parte con l’incontro di una situazione problematica, procede poi attraverso le fasi di definizione del problema, immaginazione della possibile soluzione, formulazione delle ipotesi di ricerca, approdando allo sviluppo dell’intervento (esperimento) e alla conseguente validazione o invalidazione delle ipotesi. A questa procedura si possono aggiungere vari approfondimenti: come nella fase di definizione del problema con B. Vertecchi[10] che si è occupato della costruzione di un sistema di variabili (assegnate, indipendenti e dipendenti) per determinare il rigoroso controllo dell’esperimento medesimo; o con M. Corda Costa[11] che ha lavorato alla specificazione dello sviluppo dell’intervento, dopo l’identificazione delle ipotesi, con l’organizzazione di una situazione sperimentale tale da mantenere costanti tutte le diverse variabili, eccettuata quella non dipendente che va, invece, adeguatamente manipolata per osservarne gli effetti sulla dipendente (alla presenza di più variabili attive la costruzione dell’esperimento sostanzialmente non cambia, ma si dovrà realizzare l’analisi della covarianza in fase d’elaborazione dei dati). Proprio questa specificazione, tuttavia, a sua volta richiede delle altre operazioni preliminari, come la determinazione di un campione rappresentativo della popolazione o l’identificazione delle diverse variabili in modo quantitativo (secondo scale nominali, ordinali, a intervalli o di rapporti). Ancora per L. Guasti[12] si possono aggiungere i diversi modelli di procedura d’indagine (a caso singolo, a caso multiplo, a sistema ciclico) o per G. B. Flores D’Arcais[13] il loro controllo e la loro verifica tramite i vari sistemi d’inferenza statistica.

            Tutti questi passaggi, però, continuano ad essere caratterizzati, per effetto del fatto che si esercitano su di un oggetto didattico, fin dall’esordio nell’incontro con la situazione problematica, sia nel loro decorso, sia nella loro convergenza finale sull’inferenza che tende a determinare la legge scientifica (come insieme d’enunciati che permettono di prevedere lo sviluppo di una situazione educativa in fase realizzativa), dall’essere espressi in termini pedagogici. Questi, infatti, come costrutti teorici (connettivi teorici di F. Cambi[14]), tipici delle scienze umane, sono in ogni modo visioni del mondo, ideologie, rappresentazioni generali di significati e valori che non vanno annullati (e in ogni caso non lo potrebbero), ma vanno dichiarati apertamente.

            L’approccio sperimentale classico, dunque, posta la presenza dei connettivi teorici da un lato, dell’impossibilità di misurare tutto per rendere conto in modo oggettivo delle causalità ipotizzate da un altro lato e, per finire, dei vincoli deontologici, sempre presenti nel predisporre un esperimento educativo, sul valore necessariamente positivo delle risultanze e sull’impossibilità di pregiudicare lo sviluppo del processo educativo (così come sono state ricordate da A. Visalberghi[15]), risulta un procedimento molto difficile da realizzare compiutamente, se non in laboratorio (ma così se ne pregiudica la trasferibilità ai percorsi didattici ordinari) e su segmenti assai minuti del processo didattico (ma così se ne pregiudica la rappresentatività sul senso unitario dell’intero processo didattico). Perciò le ricerche (salvo quelle proprie delle specifiche scienze antropologiche) in didattica sono venute mano a mano privilegiando le dimensioni descrittive ed osservative (sia ex ante che ex post), in modo da realizzare come dice R. Massa[16] disegni presperimentali efficaci non più nella manipolazione delle variabili, ma invece nella raccolta e registrazione di dati finalizzati a far emergere schemi interpretativi (precostruiti nel pensiero del ricercatore) e nel produrre così risultanze conoscitive tendenzialmente generalizzabili.

 

4) La ricerca clinica e la ricerca-azione in didattica

 

            Alla luce di quanto detto sulla ricerca sperimentale anche la ricerca clinica, perciò, può proporsi come un altro valido paradigma d’indagine per la scienza didattica, giacché ancora per R. Massa le metodologie idiografiche, cliniche e qualitative, rivolte alla comprensione ed all’interpretazione di un caso concreto o di una situazione individuale, non si contrappongono a quelle sperimentali, nomotetiche e quantitative, ma s’integrano con loro senza subalternità. La ricerca clinica può, infatti, rispondere meglio da un lato alle caratteristiche proprie dell’evento didattico, quali sono la processualità degli eventi, la sovrabbondanza delle variabili, le esigenze interpretative, descrittive, operative e decisionali del setting e il coinvolgimento partecipativo del ricercatore; ma anche da un altro lato alle esigenze imposte dagli sviluppi teorici della scienza didattica, come accade nell’accesso ad operazioni cognitive e metacognitive, a dimensioni emotivo-affettive e sociali, a dimensioni inconsce del rapporto educativo. In questa prospettiva e tenendo presenti i tratti precipui di quest’approccio[17], le procedure cliniche più caratteristiche sono l’intervista in profondità, l’intervista di gruppo, i colloqui ripetuti per un periodo con il medesimo soggetto e la conseguente raccolta di storie di vita, lo studio longitudinale di caso, l’osservazione partecipante, i vari approcci idiografici ed etnografici, la ricostruzione documentale sistematica (diari, biografie), la raccolta di narrazioni di concrete vicende ed esperienze di vita, l’analisi organizzativa delle istituzioni.

            Anche la ricerca-azione, però, ha le sue prerogative da far valere, soprattutto in un campo come quello didattico dove di solito il ricercatore non può realizzare il suo progetto di persona, ma lo deve fare necessariamente coinvolgendo (e spesso dovendo accettare quello che trova sul campo) altri attori (docenti, educatori, dirigenti, tecnici, ispettori, amministrativi, operatori della scuola, della formazione professionale, della sanità e d’altre istituzioni) in funzione di mediatori della ricerca o effettivi realizzatori dell’intervento sperimentale sul campo. La R-A non assume, ovviamente, paradigmi deterministici, né clinico-ermeneutici, ma, come dice J. B. Pourtois (tradotto da E. Becchi[18]), interazionisti: con ciò si suole intendere che gli atti degli attori sono spiegati tramite le finalità da loro perseguite (attraverso l’adesione ad un contratto, ad un progetto, ad un ruolo ecc.), in altre parole con elementi che succedono in seguito o a posteriori (e non come nelle ricerche deterministiche, dove la spiegazione dei fatti avviene con riferimento esclusivo ad elementi anteriori o a priori).

            Se si introduce una dimensione storica, tuttavia, come la memoria del progetto quale richiamo all’intento preventivo e prefigurazione iniziale delle mete conclusive, si determina una connessione interazionista-determinista che può rappresentare una più sicura base epistemologica per la ricerca. In questa forma di ricerca, infatti, lo sperimentatore diventa il custode e la materializzazione della memoria storica, da un lato, e della “mission” condivisa (o da far continuamente ricondividere mediante riunioni di Diagnosi Rinforzante) da parte di tutti gli attori, dall’altro. Gli attori, invece, sono i veri ricercatori e devono negoziare ogni intento, ogni atto progettuale e valutativo tra loro e con lo sperimentatore, senza evitare i conflitti, perché solo attraverso il confronto si costruisce il processo sociale di apprendimento che costituisce la R-A. Giacché, forse, la ricerca è più finalizzata (latentemente) alla formazione e all’apprendimento degli attori, che allo scopo palese di ricerca, ovvero meglio ancora, combina le due prospettive, come in occasione della diffusione di un’innovazione, perché come dice Elliott[19], la validità delle teorie o delle ipotesi che la R-A genera, dipende non tanto dalle verifiche scientifiche della loro verità, quanto dalla loro utilità nell’aiutare le persone ad agire in modo più intelligente e abile.

 

5) Il modello della “teacher effectiveness”

 

            Le prime ricerche nell’ambito della didattica come disciplina tendenzialmente autonoma sono nate all’interno della problematica del curricolo. C. Pontecorvo[20] in “Analisi del processo didattico” introduce una spiegazione sul senso delle variabili utilizzate nei modelli di tale ricerca educativa, affermando tra l’altro che, al fine di risolvere il problema già evidenziato da N. L. Gage[21] (1964) per il quale l’insegnamento raccoglie tanti processi che non possono essere tutti sussunti sotto una sola teoria totalizzante, si sogliono raccogliere come variabili di situazione tutte quelle considerate (considerabili allora) costanti in analoghe condizioni di ricerca. Ricorda poi che l’OCSE-CERI nel 1971 per descrivere le variabili del processo didattico usa come modello una tabella a doppia entrata che porta l’incrocio delle caratteristiche (riassunte qui nelle voci generali) d’insegnanti, studenti, procedure didattiche e ambiente con i fattori legati differenziatamene al “setting” didattico, alla dimensione dell’unità formativa (istituto) e alla dimensione regionale/nazionale (così ad es. per la voce insegnante si propone la categoria delle conoscenze teoriche per la dimensione del setting, la formazione in servizio per il livello di scuola e lo stato giuridico per il livello ragionale/nazionale).

            Come modello d’indagine sul processo didattico, poi, in reazione a quello proposto da Glaser[22] nel 1962 (sequenza lineare ciclicamente ripercorribile dagli obiettivi educativi, alla situazione iniziale del discente, alla procedura didattica realizzata, per giungere fino all’accertamento dell’apprendimento che permette a sua volta di risalire con un feed-back alla prima fase per correggerla), criticato perché espunge proprio le caratteristiche dell’insegnante (ma avrà un nobile parente più recente), l’A. propone e discute la proposta di Smith[23] (1960), dove si legano variabili indipendenti (come le caratteristiche di insegnanti e studenti) con quelle dipendenti (risultati conseguiti dai docenti) attraverso la determinazione di quelle intervenienti (stati, processi ed eventi che accadono nello studente a causa di motivazioni, interessi, bisogni e credenze che sono interessati dall’azione del docente).

            Criticato tale modello per alcune carenze (come la mancata considerazione dell’ambiente, dell’interazione in classe ecc.), pur dopo averlo valorizzato perché istituisce una relazione diretta tra le variabili, l’A. perviene a proporre un altro modello che considera esaustivo, dove si evidenziano tre variabili indipendenti: le caratteristiche dell’ambiente scolastico e istituzionale, degli insegnanti (personalità, caratteristiche sociologiche, formazione e aggiornamento, valori e atteggiamenti, svolgimento del ruolo) e degli studenti (personalità, abilità mentali e attitudini, valori e atteggiamenti, livello d’aspirazione e motivazione). Tutte e tre, se colti da altri contesti di ricerca, variabili dipendenti unitariamente dalla un’unica variabile, complessivamente denominata “società”. Queste dimensioni sfociano poi in una funzione centrale come quella che si determina nell’interazione didattica e sociale, quale risultato degli scambi reciproci tra comportamento docente (metodi, mezzi, procedure, stile di comunicazione) e comportamenti d’apprendimento (modi d’apprendimento, interazione tra personalità, abilità e apprendimento, stili cognitivi e situazioni di gruppo ecc.).

            Da quest’interazione scaturiscono, dunque, esiti educativi che, adeguatamente rilevati, esercitano un effetto di retroazione sia sugli insegnanti che possono così modificare obiettivi e procedure, sia sugli studenti che possono così trasformare se stessi (la conoscenza di sé e il proprio piano di vita). Per finire, poi, come le tre variabili iniziali rappresentano la società, parimente un effetto di retroazione più ampio ritorna alla società, perché si considera deweyanamente che il processo didattico formi le nuove generazioni, in altre parole la nuova società. L’A. conclude questa ampia introduzione alla successiva analitica presentazione delle singole ricerche con la riflessione che, per la futura ricerca, sia necessario considerare più dall’interno il processo didattico, cioè quella parte più interna del modello che racchiude i comportamenti dell’insegnante, i comportamenti di apprendimento e l’interazione didattica e sociale (ma la didattica rimane ancora uno soltanto fra i tanti ambiti della ricerca educativa).

 

6) Il modello dell’insegnante di qualità

 

            Dopo 25 anni e nell’ambito di una ricognizione finalizzata alle decisioni del riformismo politico (sviluppata occasionalmente per il Cede, ora Invalsi), su come l’istruzione si presenti alle problematiche incombenti della società postmoderna (con un bilancio negativo a fronte del positivo processo di scolarizzazione di massa e di partecipazione sociale degli anni ’70), U. Margiotta[24], invece, giunge alle conclusioni che si deve determinare un forte cambiamento: la scuola non può più presentarsi come autosufficiente e autoreferente; i docenti non possono, davanti ai problemi e ai disagi dei loro studenti, continuare a rifugiarsi nella concezione gentiliana della professionalità; i politici non possono esorcizzare i problemi affidandosi a proposte d’innovazione sulla base di ricerche sviluppate da teorici, perché nella ricerca didattica c’è un’evidente caduta tra la decisione asettica del teorico ricercatore e quella colta in situazione del pratico sperimentatore; la didattica deve assumere un ruolo preminente nella dimensione globale del cambiamento educativo.

            Per dar forza alle precedenti affermazioni l’A. propone un circolo virtuoso tra cultura (generale e politica), cultura pedagogica e tecnologia didattica con individuazione delle funzioni della nuova scuola: diagnosi educativa precoce (sviluppo della cultura diagnostica per cogliere in tempo i talenti e le propensioni degli studenti nella personalizzazione del curricolo), prognosi come costruzione in senso collegiale del curricolo personalizzato, valutazione di sistema come mezzo di pilotaggio al conseguimento degli standard, azione educativa come responsabilità collegiale centrata sulla personalizzazione del curricolo e sul conseguimento dei risultati d’apprendimento in classe, azione formativa come orientamento allo studio, al lavoro e alle pratiche esperienze di vita (dove si richiama, aggiornata al concetto di personalizzazione, la già vista sequenza di Glaser).

            Così, riprendendo lo studio su didattica e formazione di F. E. Erdas[25], l’A. può criticare ampiamente le ricerche sulle “teacher effectiveness”, perché esiste una debolezza epistemologica nella declinazione delle variabili (intende quelle di situazione) che non sono legate al solo comportamento docente, non sono graduabili e non sono manipolabili per esperimenti adeguati e, perciò, propone invece che, nell’ambito di una teoria globale dell’insegnamento, si prenda in considerazione specificatamente una teoria dei sistemi di padronanza (come caratteristica del profilo docente) la cui utilità si potrà rimarcare, sempre in vista delle politiche scolastiche d’innovazione, anche al docente nella proposta formativa al cambiamento istituzionale.

            Il sistema di padronanza, come concetto centrale di riferimento delle nuove ricerche sul lavoro del docente (destituite di valore predittivo dalle osservazioni quotidiane le precedenti che mettevano in rapporto diretto di causa-effetto i comportamenti dei docenti con i risultati degli alunni), deve preventivamente rispondere a quei criteri che permettono di scegliere le variabili del sistema in questione come variabili utilizzabili in un esperimento (per Erdas: controllabilità, efficacia, compatibilità e misurabilità). Sulla base della definizione di tali criteri, solo allora, sarà possibile scendere nello specifico della decisione sulle caratteristiche delle variabili in gioco.

            La nuova costruzione, in realtà, era stata già compiutamente definita solo qualche anno prima[26] con una netta distinzione dal concetto di Mastery Learning, perché tesa a porre l’alunno nella situazione di padroneggiare situazioni complesse, multilivello e plurivalenti (pluriscopo). La costruzione sicuramente parte dalla concezione gerarchica e cumulativa dell’apprendimento di Gagné[27], ma supera la sua visione cumulativa lineare con il contributo di Ausubel[28] all’apprendimento significativo, per una visione di conoscenze e di esperienze interconnesse a grappolo tramite legami di sub-sovra-intra-ordinazione e a livelli diversi di generalità, di specificazione e astrazione funzionale. Questi grappoli di conoscenze ed esperienze costituiscono il contenuto della struttura cognitiva che via via si arricchisce e si articola per effetto dei nuovi apprendimenti significativi.

 

7) Il sistema di padronanza e l’insegnante riflessivo

 

            Ma non basta, perché a quest’elemento funzionale si devono aggiungere la nozione di modello mentale e gli esempi che di tale oggetto (schema, frame, script o copione, piano ecc.) ne danno gli psicologi cognitivisti come Neisser[29], in quanto strutture complesse, organizzazioni di dati e processi produttivi di informazioni capaci di accrescersi, sintonizzarsi, strutturarsi dinamicamente in relazione all’assunzione di altre informazioni compatibili. Come sistemi che si autoalimentano (Maturana e Varela[30]), queste reti si autoregolano controllando i propri meccanismi e si sviluppano mediante processi di costruzione di senso (implicazioni, inferenze, condizionali, relazioni semantiche, estetiche ed emozionali). La mente dell’allievo non si arricchisce attraverso algoritmi (HIP e TIC), ma mediante reti di significato e di comunicazione tra sistemi simbolici (reti di padronanza).

            In tal senso, per l’A., il concetto di padronanza si sviluppa ad un livello gerarchico superiore rispetto a quello di competenza, caratterizzato quest’ultimo più semplicemente dal sapere, dal fare e dal sapere come fare, cui il primo può, invece, aggiungere sistematicamente la dimensione metacognitiva e ideativo-immaginativa. La padronanza si sviluppa, dunque, attribuendo senso e significato a ciò che s’impara a conoscere, a fare, a come e perché farlo, riuscendo ad apprezzare, prevedere e prefigurare in quale direzione collocare la meta (orientarsi) o collocare la ristrutturazione delle proprie conoscenze ed esperienze e, per tale via, personalizzare lo sviluppo del proprio potenziale. Questo modello d’apprendimento, poi, può meglio disporsi al suo reinvestimento educativo nell’atto dell’insegnamento, appoggiandosi sia alle dimensioni interattive e di mediazione culturale vygotskyane[31] (situazione sociale di costruzione collettiva della conoscenza e della spiegazione, area di sviluppo prossimale, docente mediatore), sia al nuovo contesto ermeneutico culturale bruneriano[32] (conoscere come fare significato, cultura come insieme di sistemi di segni) e sia al riconoscimento della trama narrativa come struttura precipua delle forme simboliche (Psicologia cognitivista).

            Il sistema di padronanza, così come si configura nell’utilizzo scolastico quale sistema organizzativo e gestionale delle specifiche operazioni mentali cui concorrono gli elementi strutturali della singola disciplina o dell’apprendimento di base in questione, parte da un modello esperto di sviluppo del sapere disciplinare che incorpora, oltre alla trama concettuale, al potenziale generativo, allo stile cognitivo proprio e ai possibili ponti di trasferibilità multidisciplinare, anche la sua storia evolutiva (e solo per tale via diviene così potente da generare padronanza). Dal modello esperto il docente ricava poi le direzioni e i materiali per la costruzione metodologica di una disciplina scolastica capace di crescere mediante ristrutturazione continua per acquisizione d’apprendimenti significativi; in questo senso il compito del docente, perciò, è di predisporre gli itinerari didattici attraverso triangolazioni continue e ricorrenti ciclicamente tra i saperi esperti (conoscere che cosa e verso dove), i metodi (conoscere come, sia sul piano disciplinare, sia sul piano dell’insegnamento) e gli apprendimenti (conoscere per chi). Questo processo si realizza come produzione di modelli di lavoro (la nuova progettazione dell’insegnamento) che, prefigurando le soglie di padronanza acquisibili nei compiti specifici da parte degli allievi, definisce unitariamente il profilo formativo integrato terminale del curricolo.

            La proposta di Margiotta non ha ottenuto il successo che forse meritava,  (benché, in realtà, taluni suoi aspetti compaiano di fatto internamente alla riforma Moratti), ma almeno è stata introduttiva (in senso letterale) alla sintesi divulgativa della ricerca Ocse-Ceri sulla qualità nell’insegnamento. Un punto qualificante di tale ricerca (e di altre analoghe e successive, come quella del 2001, anche se manca una dichiarazione in questa direzione nella “Strategia di Lisbona” da parte dell’UE) è costituito dalla caratteristica riflessiva del docente. Tale caratteristica è stata individuata nella convinzione (sull’onda degli studi psicologici concernenti la metacognizione[33]) che la riflessione durante l’azione implichi in chi la realizza la formulazione e il controllo d’ipotesi inerenti allo specifico intervento didattico in corso, mediante la considerazione d’interpretazioni e di logiche diverse da quella che si sta seguendo (con esplicito riferimento alle teorie di L. Stenhouse, 1974[34] e D. Schön, 1983[35]), e possa perciò conseguentemente realizzarsi come un miglioramento didattico continuo (insegnamento individualizzato) e al servizio del singolo allievo (apprendimento personalizzato). Tutto ciò, però, costituisce il risultato di nuove impostazioni che, per Damiano[36], vanno raccolte sotto il segno della “Nuova Ricerca Didattica”.

 

8) “Nuova Ricerca Didattica” per l’insegnante ricercatore

 

            Per tale A. la ricerca didattica nei primi anni del terzo millennio si presenta come un cantiere aperto in pieno fermento di lavori dove, però, è possibile, aggirandosi tra profondi scavi del terreno incolto e accumuli di terriccio, rintracciare alcuni sicuri sentieri come quello (pur definito dal punto di vista del “microteaching”, tecnica d’analisi dell’insegnamento risalente all’indotto connesso con la teoria dell’istruzione del Bruner prima maniera, fin dagli anni ‘60) che emerge nella combinazione di ricerca didattica e formazione in servizio. Si tratta in definitiva di rilevazioni “delle argomentazioni pratiche utilizzate dagli insegnanti per rendere il senso delle operazioni compiute all’occasione, durante il lavoro d’aula”[37], affini a quel “richiamo stimolato” dell’esperienza, presente diffusamente nelle ricerche del nuovo corso, come studio delle pratiche didattiche che non privilegiano più discorsi “sopra”, ma “dentro” l’insegnamento, come esplicitazione di “pensiero tacito” del docente ed espressione di “epistemologia della pratica”.

            Questa direzione accentra il “focus” della sua ricerca sui “Processi mediatori” costituiti, ad esempio, dagli oggetti culturali, dagli spazi fisici, tempi e sussidi caratteristici della situazione, dal sistema delle regole costitutive e normative dell’istituzione, dai pensieri dei docenti ecc. come “campo pedagogico” che s’interpone tra le azioni degli insegnanti e quelle degli studenti, fungendo così da quadro di riferimento per un’azione didattica che consiste, in definitiva, nella modulazione di tali elementi. In tal senso si distingue peculiarmente da altre direzioni di ricerca che l’hanno preceduta, come quella che privilegia il “Prodotto” e in tal modo valorizza le diverse forme d’insegnamento in diretta conseguenza dell’efficacia che dimostrano nel produrre l’apprendimento (la “teacher effectiveness”), ovvero quella che privilegia il “Processo” e in tal modo valorizza i procedimenti apprenditivi dello studente, relegando a mera cura o semplice animazione l’insegnamento del docente (le didattiche dell’attivismo).

            La nuova ricerca didattica, infatti, interpretando le precedenti proposte come espressione di un modello che ricavava piattamente le caratteristiche dell’insegnamento dalle teorie (psicologiche e sociologiche) dell’apprendimento, concentra la sua attenzione sul senso dell’azione didattica e ripristina, così, l’asimmetria caratteristica del rapporto educativo; su questa via, poi, parte dalla valorizzazione delle didattiche disciplinari e giunge a giustificare una piena e distinta autonomia all’insegnamento in quanto processo di mediazione della conoscenza. Il concetto di conoscenza che ha presente, tuttavia, attuando un’analisi approfondita del processo d’insegnamento/apprendimento[38], non è né una funzione del “Soggetto”, né dell’“Oggetto”, ma l’interazione costruttivistica di entrambi. C’è dunque un forte cambiamento nella fondazione epistemologica del senso della conoscenza lungo la via già ampiamente tracciata in psicologia da Piaget e Vygotsckij e ripresa in biologia da Maturana e Varela.

            Da questa posizione iniziale, infine, il passo è breve a designare le conseguenze necessarie sulla configurazione che assume il compito dell’insegnante, perché se una conoscenza “si costruisce attraverso un’interazione complessa e non lineare, una mediazione che si attua tra elementi numerosi e compositi - corporei, emotivi, affettivi, operativi, cognitivi, simbolici ... - capaci di dar forma a strutture autopoietiche, derivate, ma relativamente autonome ed autosussistenti”[39], allora chi insegna non può fare a meno di interrogarsi sulla conoscenza, sulle sue forme, sulle sue operazioni, sui suoi processi d’acquisizione e di considerarne la reale portata nell’agire didattico, attivando un vero e proprio ruolo di ricerca e sperimentazione nel processo educativo ordinario. Da qui l’etichetta del nuovo docente ricercatore che riassume sotto tre punti il passaggio realizzato dalla “teacher effectiveness” degli anni ’80: da “Il saper c’è, va solo applicato; gli strumenti ci sono, basta usarli, il sapere cessa di essere “ricerca” quando si fa “intervento” a “L’azione didattica è interpretazione produttiva, gli strumenti si costruiscono all’atto di insegnare, il sapere teorico è il linguaggio dell’azione d’insegnare”[40].

 

9) Ricerca e sviluppo nella riforma del sistema educativo

 

            Del resto queste nuove prospettive della didattica si sposano con la riforma del sistema scolastico in corso in Italia. L’articolo 21, comma 10°, della Legge 15 marzo 1997 n. 59, nel definire l’autonomia scolastica, attribuisce alle singole istituzioni scolastiche “anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio  dell’autonomia didattica ed organizzativa“. A ciò si deve aggiungere che l’articolo 6 del Regolamento dell’Autonomia scolastica (Dpr 275/99) dice che le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali e curando tra l’altro: la progettazione formativa e la ricerca valutativa, la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico, l’innovazione metodologica e disciplinare, la ricerca didattica sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sulla loro integrazione nei processi formativi, la documentazione educativa, gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici e, per finire, l'integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e fra i diversi sistemi formativi.

            Poi c’è un altro articolo del Regolamento che fa esplicito riferimento all’attività di ricerca delle scuole: si tratta dell’articolo 7 che prevede la possibilità di costituire reti di scuole finalizzate anche ad attività di ricerca e laboratori di rete destinati, tra l’altro, alla ricerca didattica e alla sperimentazione. Questo quadro normativo dell’autonomia di ricerca delle scuole, infine, va anche doverosamente completato con un altro richiamo (non nuovo, perché ampiamente ripreso dalle pregresse determinazioni ministeriali sui programmi d’abilitazione e di concorso a cattedre) relativo al profilo professionale dei docenti (articolo 25 del CCNL/05) che risulta “costituito da competenze disciplinari, pedagogiche, metodologico - didattiche, organizzativo - relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”.

            Questi riferimenti normativi possono facilmente far capire come la riforma in corso stia configurando un quadro di forte innovazione in questo specifico settore: per un verso, infatti, assegna alle unità scolastiche il compito di provvedere al proprio sviluppo attraverso una propria organizzazione di ricerca e sperimentazione, per un altro accentua delle prospettive del compito dell’insegnante, già presenti da lungo tempo in forma straordinaria, ma ora considerate particolarmente significative per la qualità ordinaria del servizio scolastico (tutta l’autonomia, dice la legge istitutiva, dovrebbe essere piegata al miglioramento di tale qualità, benché ancora oggi, a ormai dieci anni dalla determinazione di legge, l’utenza non sappia in cosa consiste e come si misura). La combinazione di ricerca e sperimentazione, da un lato, con lo sviluppo della scuola, dall’altro, configura poi una prospettiva davvero nuova.

            La Ricerca-Sviluppo (R-S), per I. Summa[41] è nata nel campo dell’organizzazione aziendale e dell’analisi socio-organizzativa come quel sottosistema organizzativo destinato a garantire all’impresa la capacità di migliorare i propri prodotti e i propri processi, migliorando la qualità e innovando la produzione. Da tale origine trae una persistente valenza utilitaristica, dunque, perché la ricerca pratica dell’impresa non può mai essere ricerca pura e disinteressata, ma deve consistere in ricerca applicata e finalizzata all’intervento migliorativo delle procedure e dei risultati (e in tal senso non è libera “espressione dell’autonomia didattica” come quella tipica dell’insegnante proclamata dalla sperimentazione, così come definita dal  Dpr 419/74).

            Le organizzazioni che, dopo i primi tempi di novità produttiva o di servizio, vogliono sopravvivere alla dura legge del mercato, infatti, si devono affidare ad un servizio di ricerca e sviluppo, spesso legato intimamente alla formazione del personale. Perché soltanto la capacità di migliorare e di innovare produzione o servizio (sviluppando la partecipazione e l’apprendimento organizzativo[42]) secondo determinate prospettive ed orientamenti (funzione della leaderschip, della comunicazione[43] e della valorizzazione delle risorse umane[44] nell’organizzazione), infatti, può garantire successo e sopravvivenza. Lo sviluppo, del resto, è parte integrante, come “miglioramento continuo”, del concetto di qualità (Qualità totale) che, sebbene faticosamente, sta però progressivamente imponendosi anche al mondo autoreferente della scuola (Progetto Qualità del Ministero con vari Poli per la Qualità in tutt’Italia).

 

10) Sperimentazione per il cambiamento teso al miglioramento

 

            La sperimentazione, invece, in un tale quadro è il processo che si attua per realizzare la validazione di un’ipotesi relativa ad un’innovazione che si ritiene positiva e si vuole introdurre[45] nella prassi quotidiana. La sperimentazione, dunque, è una fase del percorso teso al  cambiamento migliorativo delle prassi: in tal senso da una parte è conseguenza del risultato di una precedente azione di ricerca (come gli esiti degli studi presperimentali, già visti all’inizio) e, dall’altra, prelude ad una generalizzazione dei risultati (se giudicati positivamente). Un tale processo è presente nella scuola da parecchio tempo e perciò tante sono state le sperimentazioni didattiche o d’ordinamento delle scuole, sia progettate e realizzate autonomamente, che autorizzate dal Ministero e, forse, ancora di più quelle proposte centralmente e realizzate puntualmente dalle scuole (perché ad un certo punto della storia del sistema scolastico italiano la sperimentazione assistita è stato lo strumento che l’amministrazione ha utilizzato per modernizzare curricoli ormai obsoleti, in presenza di una classe politica incapace di realizzare innovazioni). Non sempre queste sperimentazioni, però, hanno caratterizzato un percorso di ricerca e quasi mai si è arrivati alla diffusione generalizzata dei procedimenti sperimentati nelle prassi ordinarie. Ancora oggi la scuola ha acquisito, con l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, un dispositivo che non è assolutamente in grado di garantire innovazione e sviluppo, se non viene integrato localmente da una convinzione di fondo della singola comunità scolastica che miri decisamente al miglioramento continuo dell’insieme.

            Certamente, se si parte da questa convinzione profonda, allora le tre funzioni integrate possono offrire delle considerazioni razionalmente basate su prove alle scelte organizzative e didattiche. L’autonomia organizzativa senza un supporto di ricerca, infatti, nella prospettiva della gestione globale e strategica dell’unità scolastica, si  può risolvere solo in improvvisazioni e scelte estemporaneee degli Organi Collegiali, perché viene a mancare quel supporto previsionale alle decisioni che soltanto un continuo processo di ricerca sull’evoluzione dell’ambiente circostante e dell’orizzonte più lontano può assicurare. L’autonomia didattica, a sua volta, senza base di ricerca e sperimentazione, avrebbe difficoltà a cogliere le specificità dell’identità culturale della singola unità scolastica, del suo specifico approccio alla cultura e delle modalità più redditizie di mediazione per l’apprendimento dei propri allievi.

            In questa prospettiva, dunque, va vista la definizione del Piano dell’Offerta Formativa. Il POF, infatti, tenendo conto del Pecup e delle Indicazioni Nazionali, da un lato, nonché della realtà territoriale e degli allievi, dall’altro, traccia le linee e le condizioni organizzative che i singoli docenti devono aver ben presenti per redigere i PPAE e PSP, divenendo così il documento con il quale la scuola manifesta la propria responsabilità progettuale (l’autonomia comporta, inevitabilmente, la progettazione del proprio servizio). Sempre in questa prospettiva di ricerca/sperimentazione/sviluppo, poi, viene il problema complessivo della Didattica, perché con esso si identifica il problema fondamentale della qualità formativa.

            Non si deve dimenticare, però, che l’agente della ricerca nei vari settori è pur sempre l’insegnante (riflessivo) ricercatore, già proposto; in altre parole, un docente che è prima protagonista delle scelte del POF, ma che poi realizza anche l’atto didattico e ne definisce l’eventuale progetto sperimentale, per valutarlo, in conclusione, sotto le specie di tre situazioni diverse: nell’ambito della valutazione dell’apprendimento dell’allievo, nella valutazione del proprio insegnamento e nella valutazione dell’organizzazione e gestione della scuola. Forse è un po’ troppo, perché neppure il pur “potente” nuovo dirigente scolastico (la dirigenza a capo della singola scuola è nata come precipua esigenza dell’autonomia) esprime una tale forza nell’impatto con l’organizzazione.

 

Note bibliografiche:

 

1)      C. Laneve, Il campo della didattica, La Scuola Brescia 1997

2)      M. Tarozzi, Elementi di pedagogia generale, in AA. VV., Pedagogia ed educazione motoria, Guerini Milano 2004

3)      C. Laneve, Il paradigma polireferenziale, in a cura di L. Calonghi, Nel bosco di Chitone, Tecnodid Napoli 1993

4)      L. Calonghi, a cura di, Nel bosco di Chitone, Tecnodid Napoli 1993

5)      F. Frabboni et Alter, Manuale di pedagogia generale, Laterza Bari 1994

6)      L. Lumbelli, Quantità e qualità nella ricerca empirica in pedagogia, in E. Becchi et Alter, a cura di, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Angeli Milano 1984

7)      P. Bertolini, a cura di, Sulla didattica, La Nuova Italia Firenze 1994

8)      M. Manini, La didattica a più dimensioni, in Encyclopaideia n. 2, anno 1, 1997 

9)      F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza Bari 1997

10)    B. Vertecchi, Metodi dell’osservazione e della sperimentazione scolastica, in M. Corda Costa et Alii, Orientamenti per la sperimentazione didattica, Loescher Torino 1975

11)    M. Corda Costa, Condizioni e limiti della ricerca e della sperimentazione, in M. Corda Costa et Alii, Op. Cit. 

12)    L. Guasti, La sperimentazione come strategia d’innovazione, in La Documentazione Educativa, MPI e IEI Roma 1991

13)    G. B. Flores d’Arcais, Metodi statistici per la ricerca psicologica, Giunti Universitaria Firenze 1970

14)    F. Cambi, La ricerca in pedagogia, Le Monnier Firenze 1976

15)    A. Visalberghi, Sperimentazione e verifica in campo didattico, in M. Corda Costa et Alii, Op. Cit.

16)    R. Massa, La ricerca educativa, in R. Massa, a cura di, Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza Roma-Bari 1990

17)    M. P. Dellabiancia, La pedagogia clinica: da origini medico-psicologiche a sviluppi di pedagogia scientifica e speciale, in www.dellabiancia.it/pedagogia

18)    J. P. Pourtois, La Ricerca-Azione in pedagogia, in E. Becchi, a cura di, op. cit.

19)    J. Elliott, La ricerca-azione: un quadro di riferimento per mille scuole, in AA. VV., La ricerca-azione. Metodiche, strumenti, casi. Torino Boringhieri Bollati 1993

20)    Cfr. R. Titone, Questioni di Tecnologia didattica, La Scuola Brescia 1974

21)    N. L. Gage, Prefazione a Handbook of Reserarch on Teaching, citato da C. Pontecorvo, op. cit.

22)    R. Glaser, Psychology and Instructional Technology, citato da C. Pontecorvo, Op. Cit.

23)    B. O. Smith, A Concept of Teaching, citato da C. Pontecorvo, Op. Cit.

24)    U. Margiotta, L’insegnante di qualità, Armando Roma 1999

25)    F. E. Erdas, Didattica e formazione. Armando Roma 1991

26)    U. Margiotta, a cura di, Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando Roma 1997 e R. Rigo, Il processo di scrittura funzionale, Armando Roma 1997

27)    R. M. Gagné, Le condizioni dell’apprendimento, Armando Roma 1975

28)    D. P. Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Milano angeli 1987

29)    U. Neisser, Conoscenza e realtà, Il Mulino Bologna 1981

30)    H. Maturana e F. Varala, Autopoiesi e cognizione, Marsilio Venezia 1985

31)    L. S. Vygotsky, Il processo cognitivo, Boringhieri Torino 1980

32)    J. Bruner, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri Torino 1992

33)    Per il concetto di metacognizione cfr. C. Cornoldi, Metacognignizione e apprendimento, Il Mulino Bologna 1995; per una rassegna degli studi sulla metacognizione, a partire da quelli di J. H. Flavell nel 1976, cfr. P. Crispiani, Didattica cognitivista, Armando Roma 2004, dal capitolo VIII all’XI

34)    L. Stenhouse, Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, Armando Roma 1977

35)    D. Schön, Il professionista riflessivo, citato in U. Margotta, op. cit. al n. 24

36)    E. Damiano, La ricerca didattica oggi, comunicazione al conv. naz. della SIPED tenuto a Macerata il 26 e 27 maggio 2005

37)    E. Damiano, op. cit., pag. 5

38)    E. Damiano, La ricerca in didattica oggi. Per una Nuova alleanza, in Pedagogia, ricerca, valutazione, a cura di C. La neve e C. Gemma, Ed. PensaMultiMedia, Lecce 2006, da pag. 151

39)    E. Damiano, op. cit. pag. 8

40)    E. Damiano, op. cit. pag. 9

41)    I. Summa, voce “Ricerca” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2002

42)    F. De Anna, voce “Flessibilità organizzativa” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2004 

43)    I. Summa, voci “Leaderschip scolastica” e Comunicazione organizzativa” in Op. Cit. al n. 40

44)    I. Summa, voce “ Risorse umane” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2006

45)    F. De Anna, voce “Cultura del cambiamento” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2003  

 

Cattolica, agosto 2006                                                                             Marco Paolo Dellabiancia
 

[1] C. Laneve, Il campo della didattica, La Scuola Brescia 1997

[2] M. Tarozzi, Elementi di pedagogia generale, in AA. VV., Pedagogia ed educazione motoria, Guerini Milano 2004

[3] C. Laneve, Il paradigma polireferenziale, in a cura di L. Calonghi, Nel bosco di Chitone, Tecnodid Napoli 1993

[4] L. Calonghi, a cura di, Nel bosco di Chitone, Tecnodid Napoli 1993

[5] F. Frabboni et Alter, Manuale di pedagogia generale, Laterza Bari 1994

[6] L. Lumbelli, Quantità e qualità nella ricerca empirica in pedagogia, in E. Becchi et Alter, a cura di, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Angeli Milano 1984

[7] P. Bertolini, a cura di, Sulla didattica, La Nuova Italia Firenze 1994

[8] M. Manini, La didattica a più dimensioni, in Encyclopaideia n. 2, anno 1, 1997

[9] F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza Bari 1997

[10] B. Vertecchi, Metodi dell’osservazione e della sperimentazione scolastica, in M. Corda Costa et Alii, Orientamenti per la sperimentazione didattica, Loescher Torino 1975

[11] M. Corda Costa, Condizioni e limiti della ricerca e della sperimentazione, in M. Corda Costa et Alii, Op. Cit.

[12] L. Guasti, La sperimentazione come strategia d’innovazione, in La Documentazione Educativa, MPI e IEI Roma 1991

[13] G. B. Flores d’Arcais, Metodi statistici per la ricerca psicologica, Giunti Universitaria Firenze 1970

[14] F. Cambi, La ricerca in pedagogia, Le Monnier Firenze 1976

[15] A. Visalberghi, Sperimentazione e verifica in campo didattico, in M. Corda Costa et Alii, Op. Cit.

[16] R. Massa, La ricerca educativa, in R. Massa, a cura di, Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza Roma-Bari 1990

[17] M. P. Dellabiancia, La pedagogia clinica: da origini medico-psicologiche a sviluppi di pedagogia scientifica e speciale, in www.dellabiancia.it/pedagogia

[18] J. P. Pourtois, La Ricerca-Azione in pedagogia, in E. Becchi, a cura di, Op. Cit.

[19] J. Elliott, La ricerca-azione: un quadro di riferimento per mille scuole, in AA. VV., La ricerca-azione. Metodiche, strumenti, casi. Torino Boringhieri Bollati 1993

[20] Cfr. R. Titone, Questioni di Tecnologia didattica, La Scuola Brescia 1974

[21] N. L. Gage, Prefazione a Handbook of Reserarch on Teaching, citato da C. Pontecorvo, Op. Cit.

[22] R. Glaser, Psychology and Instructional Technology, citato da C. Pontecorvo, Op. Cit.

[23] B. O. Smith, A Concept of Teaching, citato da C. Pontecorvo, Op. Cit.

[24] U. Margiotta, L’insegnante di qualità, Armando Roma 1999

[25] F. E. Erdas, Didattica e formazione. Armando Roma 1991

[26] cfr. U. Margiotta, a cura di, Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando Roma 1997 e R. Rigo, Il processo di scrittura funzionale, Armando Roma 1997

[27] R. M. Gagné, Le condizioni dell’apprendimento, Armando Roma 1975

[28] D. P. Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Milano angeli 1987

[29] U. Neisser, Conoscenza e realtà, Il Mulino Bologna 1981

[30] H. Maturana e F. Varala, Autopoiesi e cognizione, Marsilio Venezia 1985

[31] L. S. Vygotsky, Il processo cognitivo, Boringhieri Torino 1980

[32] J. Bruner, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri Torino 1992

[33] Per il concetto di metacognizione cfr. C. Cornoldi, Metacognignizione e apprendimento, Il Mulino Bologna 1995; per una rassegna degli studi sulla metacognizione, a partire da quelli di J. H. Flavell nel 1976, cfr. P. Crispiani, Didattica cognitivista, Armando Roma 2004, dal capitolo VIII all’XI

[34] L. Stenhouse, Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, Armando Roma 1977

[35] D. Schön, Il professionista riflessivo, citato in U. Margotta, Op. Cit.

[36] E. Damiano, La ricerca didattica oggi, comunicazione al conv. naz. della SIPED tenuto a Macerata il 26 e 27 maggio 2005

[37] E. Damiano, Op. Cit. al punto 36, pag. 5

[38] E. Damiano, La ricerca in didattica oggi. Per una Nuova alleanza, in Pedagogia, ricerca, valutazione, a cura di C. Laneve e C. Gemma, Ed. PensaMultiMedia, Lecce 2006, da pag. 151

[39] E. Damiano, Op. Cit. al punto 36, pag. 8

[40] E. Damiano, Op. Cit. al punto 36, pag. 9

[41] I. Summa, voce “Ricerca” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2002

[42] F. De Anna, voce “Flessibilità organizzativa” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2004 

[43] I. Summa, voci “Leaderschip scolastica” e Comunicazione organizzativa” in Op. Cit. al n. 40

[44] I. Summa, voce “ Risorse umane” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2006

[45] F. De Anna, voce “Cultura del cambiamento” in Voci della scuola, a cura di AA. VV., Tecnodid Napoli 2003  

 

Torna all'indice! Torna all'inizio pagina!